LiberNews
  • Contatti
  • Nuova pagina

La Fede nel lavoro

Incontro con Antonio Pavino

Picture
Antonio Pavino, 55 anni, imprenditore, tre figli e una moglie che definisce “santa” - perché “riesce a sopportarlo” da sempre - sembrava, nel conoscerlo, una “brava” persona come tante. Parlare con lui, però, ci ha rivelato un uomo dalle idee ben precise e fortemente animate dalla fede…

Libernews: Abbiamo sentito parlare della sua Associazione, la San Filippo Neri. Vuole presentarcela?
A. Pavino:
  Tempo fa, mi pare nel 2003, conobbi una Congregazione religiosa, dal nome “Istituto dei Servi del Cuore Immacolato di Maria”, appartenente al movimento Famiglia del cuore immacolato di Maria, di cui fanno parte Religiosi, Religiose e Laici. Il fondatore e promotore della San Filippo Neri è stato proprio un Servo del Cuore Immacolato di Maria, padre Luigi Moro (oggi Rettore del grande santuario Mariano del Monte Grisa, a Trieste), che consigliò, ad alcuni di noi, di costituirci in un’Associazione allo scopo di “fare il bene fatto bene”. Questa frase mi colpì subito.

L.: Colpisce anche noi! Lei quindi è il promotore, l’anima di quest’Associazione?
P.: No! Devo dire che ho una “squadra” ben fatta. Sono stato anche proposto come presidente, al rinnovo, ma penso comunque che sia la squadra a fare la forza. Il Comune di Roma, per esempio, ci ha premiati per il servizio “Pronto nonno”, per la nostra vicinanza agli indigenti.

L.: Quindi, vi ritenete soddisfatti dell’Associazione…
P.: In un certo senso sì; ma penso che non ci si debba mai accontentare: ogni giorno ci accorgiamo di quanto ci sia da fare per aiutare i bisognosi…

L.: E siamo certi che con questa crisi il numero dei bisognosi non sia certamente in calo…
P.: Infatti! Le ristrettezze si sono infiltrate in ogni aspetto, anche nel nostro lavoro.

L.: Chi sono i componenti tipici dell’Associazione?
P.: La maggior parte sono pensionati, solo un 5-10% è posizionabile al di sotto dei 50 anni…

L.: Tutte persone di fede, immaginiamo…
P.: Tutti cattolici, sì; d’altra parte, è una condizione che abbiamo inserito anche nel nostro Statuto.

L.: Quali sono le vostre azioni più caratteristiche?
P: Coadiuviamo nella preparazione e animazione di particolari ricorrenze, specialmente in relazione alle Apparizioni di Fatima, del 1917: il giorno 13, da maggio al ottobre, presso la Parrocchia Sacra Famiglia, in via di Villa Troili (zona Aurelia, poco dentro il Raccordo) siamo sempre presenti; collaboriamo alla organizzazione delle Peregrinatio Mariae (predicazioni mariane), in varie zone d’Italia; siamo impegnati nella distribuzione dei “pacchi di viveri”, fornitici dal Banco alimentare del Lazio; abbiamo accesso al 5 per mille: con le risorse che ne ricaviamo, aiutiamo i poveri…

L.: Lei ha un ruolo anche nella redazione della rivista “Maria di Fatima”?
P.: Sì, coadiuvo in Redazione, scrivo anche alcuni articoli per il mensile…      

L.: In senso generale, quali sono i propositi di questa Associazione e come sta operando adesso?
P.: Quello che ci dà la spinta iniziale è il nostro spirito, che potremmo definire del “buon samaritano”: esserci, cioè, per chi ha bisogno. In questo senso cerchiamo di muoverci a 360 gradi e specialmente senza preconcetti di alcun tipo.

L.: Quindi nemmeno verso gli extracomunitari, immaginiamo. Come vi ponete, a proposito, nei confronti di questo problema? Un’operazione come “Mare nostrum” ha avuto un senso o no ?
P.: Io credo, anche rispettando in particolare le motivazioni di fuga di una parte dei migranti, che noi stiamo subendo un’invasione. E quello che temo non è tanto l’invasione massiva, quanto quella culturale. Guardi, io insegno anche in un istituto professionale salesiano, dove, su 22 ragazzi, 16 non sono italiani, e non posso non vedere lo scompenso che si viene a creare, in particolare verso il disordine culturale insito in queste persone. In pratica, avendo studiato da salesiano anch’io, oggi trovo che i nostri giovani debbano affrontare due problemi in più: la mancanza di una presenza familiare alle spalle e il confronto con questi giovani, ancora diversi, non per la pelle, ma per cultura. Tornando a Mare Nostrum, io regolamenterei molto le entrate in Italia di extracomunitari.

L.: Forse gli extracomunitari hanno addirittura un vantaggio, creato dal nulla o quasi dietro le loro spalle che consente loro di ambientarsi con maggiore facilità in un mondo nuovo. È così?
P.: Sì, ma c’è un aspetto sorprendente che ho constatato: gli extracomunitari sono proprio quelli che si impegnano di più! I nostri, davanti a un problema, tendono a scoraggiarsi e ad abbandonare il campo; invece loro, davanti allo stesso problema, tirano fuori un’aggressività che li aiuta ad affrontarlo e a volte a risolverlo. Devo dire che, dei miei 22 ragazzi, se dovessi fare una graduatoria, nei primi quattro metterei tre rumeni e un ecuadoregno…

L.: Cambiamo argomento e veniamo alla famiglia. Al di là della visione cattolica, il senso della famiglia, in quest’epoca di disgregazione, qual è?
P.:  Se Dio ci ha creati maschi e femmine, ritengo impensabile un’unione matrimoniale che non comprenda i due sessi. I cattolici dovrebbero essere i primi a chiedersi che discorsi sono mai quelli che prevedono matrimoni di altro tipo.

L.: Mi scusi la provocazione, ma quindi, secondo lei, un omosessuale non ha il diritto di essere cattolico?
P.: Guardi, gli omosessuali ci sono sempre stati: ma, una volta, ricordo che avevano una loro dignità, non scendevano in piazza a vantarsi, praticamente, della loro diversità. Fra poco io, che sono “etero”, potrei cominciare a vergognarmi, e temo che se chiedessi loro se conoscono la differenza fra uomo e donna rischierei di essere aggredito…

L.: Quindi, se ho capito, un omosessuale, secondo questo punto di vista, avrebbe diritto di essere cattolico ma non di sposarsi?
P.: Papa Francesco si è espresso molto bene, dicendo “chi sono io per giudicare se una persona è in cerca di Dio?”, riferendosi ad un omosessuale.

L.: La Chiesa perciò ha un atteggiamento ben chiaro sull’argomento?
P.: Beh, io non posso che abbassarmi alle affermazioni di Papa Francesco. Il Santo Padre dà delle indicazioni di apertura; poi, però, dà anche delle regole e quindi dobbiamo rispettarle tutte. I comandamenti sono dieci: se non se ne rispetta anche uno solo, si fa peccato mortale

L.: Bene, quindi cosa dovrebbero fare gli omosessuali, che non si possono sposare?
P.: Io vorrei anzitutto distinguere fra l’omosessuale che ci è diventato e quello che ci è nato. I contatti che mi sono capitati, con questi ultimi, hanno denotato persone intelligenti e piene di dignità. Circa le azioni da consigliare, suggerirei di lasciar stare le adozioni.

L.: Ma non meriterebbero almeno un “contratto civile”, equivalente al matrimonio, per garantirsi i diritti civili della convivenza, come quelli ereditari?
P.: Vede, per me il matrimonio non è semplicemente un contratto, ma un’unione d’amore.

L.: D’accordo, ma nello sposarsi anche le coppie etero si sottomettono a un contratto civile che prevede molti diritti e doveri. Forse quel “contratto” non dovrebbe avere lo stesso nome di “matrimonio”. Forse nei casi gay il problema da porsi maggiormente è quello dell’adozione, non trova? I bambini potrebbero restarne confusi?
P.: Giusto! Infatti la confusione è quello che sta al di là di quello che Dio impone, ma più che mai propone. Invece, ho l’impressione che la confusione venga usata per la convenienza di una causa specifica, ignorando i danni che in questo caso subiscono proprio i bambini…

L.: Tornando all’Associazione e ai suoi programmi, c’è ottimismo, si vede una luce?
P.: Ottimismo uguale fede. Se non avessi fede, avrei buttato la spugna da quel dì… Mi accorgo ogni giorno di quanto Dio risponda, tutte le volte che lo interpelli. L’insegnamento, da buon samaritano, appunto, è quello dell’umiltà, che più di tutto aiuta ad affrontare la vita e ad andare avanti, magari aiutando meglio il prossimo.



ARTICOLI PRECEDENTI
ultimi temi trattati

+ 
Immagine
Immagine
Immagine
Powered by Create your own unique website with customizable templates.