Il Milan del candidato Premier Berlusconi ha comprato Balotelli durante la campagna elettorale. Inevitabili le valutazioni sull’opportunità politica dell’acquisto. Ma da sempre, in democrazia e dittatura, il potere politico è stato attratto dalla popolarità dello sport in generale, e del calcio in particolare. Anche le riviste di gossip si interessano alla vicenda, già si vocifera di una possibile liaison tra il giovane calciatore e la figlia del presidente, Barbara, sembra anche che allibratori inglesi accettino scommesse sull’evento.Questo groviglio fatto di giovani calciatori, potere politico e figlie di personaggi importanti riporta alla mente un infelice precedente. Per ripercorrerlo bisogna tornare indietro di circa 55 anni, nell’Unione Sovietica di Nikita Kruscev. A quel tempo il calcio sovietico era illuminato dalla stella nascente Eduard Streltsov, che molti suoi contemporanei paragonavano a Pelé. Eduard era un personaggio fuori dal comune in URSS, gli piaceva apparire ed era molto apprezzato dalle donne, curava l’aspetto fisico e amava la bella vita. Avrebbe voluto vivere in Europa occidentale ed era continuamente pedinato dalla polizia. Era ritenuto “pericoloso” per il regime comunista in quanto rappresentava una eccellenza ribelle.Pur non essendo amato dal potere politico era pur sempre il calciatore più in vista del momento, ed era spesso invitato alle occasione mondane organizzate dal partito. E proprio in una di queste commise una gaffe che gli costò la carriera, e molto di più.Durante un ricevimento al Cremlino, la donna forte del regime Ekaterina Furtseva propose, quasi scherzando, a Streltsov di diventare suo genero, sposando la sedicenne Svetlana Furtseva. Eduard rispose educatamente di essere già fidanzato, ma poco dopo disse ad un amico “non sposerei mai quella scimmia”. Purtroppo per lui lo avevano sentito anche altri. L'occasione per fargliela pagare arrivò poco tempo dopo. Venne accusato di aver stuprato una ragazza durante un’altra festa organizzata da un importante militare. Al processo 11 testimoni giurarono sull’innocenza di Streltsov. Ma costretto dai metodi inquisitori, e dall’assicurazione di essere presto rimesso in libertà, Eduard confessò un crimine che probabilmente non aveva commesso. Nonostante la promessa di libertà Streltsov venne condannato a 12 anni di detenzione in un gulag. Ne scontò 7 prima di essere liberato. Tornò a giocare a calcio nella Torpedo Mosca, e raggiunse il picco della sua breve carriera calcistica vincendo il titolo nazionale sovietico nel 1965. Ma gli anni della detenzione avevano trasformato il campione anticonformista in un uomo chiuso ed introverso, che mai, nel resto della sua vita, parlò più né del processo né della detenzione nel gulag. Certo oggi SuperMario Balotelli non rischia nulla di tutto ciò, ma la storia di Eduard Streltsov può aiutarci a ricordare che il potere politico è sempre interessato ai fenomeni di costume, e volendo può costruirli o distruggerli.
Dalla curva alla strada . . .
Dopo gli scontri di Lazio – Tottenham del 22 novembre si è tornati a parlare della violenza dei tifosi di calcio che spesso portano la propria furia anche al di fuori dello stadio.
Il caso forse più clamoroso di “esportazione” della violenza si è avuto nel 1990 in Jugoslavia, tanto che si può dire che la guerra cominciò proprio in quel pomeriggio di calcio. Il 13 maggio di quell’anno si giocò a Zagabria, in Croazia, la penultima partita di campionato tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa di Belgrado, squadra serba già matematicamente campione di Jugoslavia. La partita in realtà non si giocò, il campo fu invece l’arena degli scontri tra le tifoserie, la polizia e i giocatori. Tra questi Zvonimir Boban, in seguito campione del Milan, che arrivò a prendere a calci un poliziotto. I tifosi della Stella Rossa, i “Delije” (guerriglieri impavidi), erano guidati da Zeljko Raznjatovic, che sembra sia stato arruolato già negli anni ’70 come killer dai servizi segreti jugoslavi, e negli anni ’80 si dedicò a rapinare banche in Svizzera e Olanda. Dopo quella partita, Arkan (così era chiamato Zeljko) formò una propria milizia largamente composta di tifosi. Queste forze paramilitari affiancarono le truppe regolari serbe, e si dice furono investite dal presidente Milosevic del compito di procedere ad una sistematica pulizia etnica. Ricostruzioni giornalistiche sostengono che le “tigri di Arkan” si macchiarono di crimini mostruosi, come quello della tortura e uccisione di 261 degenti non serbi dell’ospedale di Vukovar. Nel frattempo Arkan continuò a frequentare lo stadio, dove spesso riceveva lunghi applausi. Dopo le operazioni in Croazia le tigri si spostarono in Bosnia, dove divennero famose per la loro abitudine di intonare cori da stadio sul fronte. Si calcola che durante il conflitto, le truppe di Arkan, abbiano ucciso più di 2000 persone. Per le atrocità commesse Raznjatovic fu accusato di essere un criminale di guerra dalla corte dell’Aja. Imperturbabile continuò la propria vita nel mondo del calcio anche dopo il conflitto, acquistando la squadra di calcio dell’Obilic quando militava in serie inferiori e portandola alla conquista del campionato nel 1998. L’avventurosa vita di Arkan venne interrotta il 15 gennaio 2000, quando nella lobby del lussuoso Intercontinental Hotel di Belgrado venne raggiunto alle spalle da un uomo che lo freddò con un proiettile alla testa, e poi con numerosi altri al corpo. Il 30 gennaio 2000, durante la partita Lazio – Bari i tifosi della squadra romana, esposero uno striscione che recitava “onore alla tigre Arkan”. Le proteste dell’opinione pubblica italiana investirono la squadra che sarebbe poi diventata campione d’Italia, e in particolare il suo giocatore Sinisa Mihaijlovic, ritenuto amico di Raznjatovic. Chi sia stato a commissionare l’omicidio di Arkan non è mai stato scoperto. La mafia serba, Milosevic e la CIA, avrebbero tutti avuto diversi buoni motivi per saperlo morto.