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     CINEMA

Grand Budapest Hotel

Niente è vero finché non viene immaginato

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 Niente è vero finché non viene immaginato… Ed è proprio ciò che ha fatto il regista Wes Anderson, il quale ha concepito con la fantasia la Repubblica di Zubrowska, (il film è stato girato nel 2013 in Germania, in particolare nella Sassonia), dove il narratore (Jude Law), incontra il proprietario del Grand Hotel Budapest, Zero Moustafa (F. Murray Abraham), uomo schivo, misterioso e affascinante.

Con uno splendido flashback lo spettatore è condotto nella storia, riportata in prima persona da Zero che ricorda le sue vicissitudini che lo portarono dall’umile ruolo di garzone a  proprietario dell’Hotel.

Questa immensa fortuna gli venne concessa dal Sig. Gustave H (Ralph Fiennes), all’epoca concierge del famoso Albergo di lusso, frequentato dal turismo raffinato e colto degli anni ‘20, uomo dotato di un profondo senso di giustizia, efficiente, leale ed ironico, con una grande nobiltà d’animo, il cui unico difetto consisteva nell’intrattenere relazioni sentimentali con donne facoltose ed attempate.

Proprio una delle sue numerose amanti, Madame D. (Tilda Swinton), viene però trovata morta in circostanze misteriose e, all’apertura del testamento, i partenti giungono a conoscenza che la defunta avrebbe disposto in precedenza un appetibile lascito proprio a Gustave.

Da qui prende il via una trama ingegnosa e strabiliante, dal sapore amaro e malinconico, ricca di variopinti e bizzarri personaggi che delizierà il pubblico nel susseguirsi della vicenda, tra cui la dolce fidanzatina di Zero, Agata, i foschi individui Desgoffe – und Taxis, con a capo l’avido ed ombroso Dimitri (Adrien Brody), di nero vestito, cupo ma contemporaneamente divertente, che tenteranno di ostacolare Gustave e Zero già dal conferimento dell’eredità.

Una commovente storia di amicizia, ricca di speranze, di gioia di vivere e di buoni sentimenti, incastonata nella cornice innevata di luoghi effimeri e incantati, che solo il genio creativo di Anderson ha saputo forgiare.


(Barbara Manna)


Sei mai stata sulla Luna?

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Se le fiabe non esistessero bisognerebbe inventarle. Esse ci distraggono dalla noia della vita di tutti i giorni, ci aiutano a capire il mondo che ci circonda, ci danno consigli, ci spronano ad apprezzare maggiormente la vita, ma soprattutto sono in grado di farci sognare.

Il Principe e la Principessa di questo film/favola, “Sei mai stata sulla Luna?”, diretto da Paolo Genovese, sono Renzo (Raoul Bova) e Guia (Liz Solari). Proprio quest’ultima, brillante e bellissima redattrice di una prestigiosa rivista di moda, divisa tra mille impegni mondani tra Milano e Parigi, legata ad un avvocato senza scrupoli, è chiamata da un notaio al fine di recarsi  in un piccolo paesino della Puglia, poiché unica erede di un’antica masseria di famiglia. 

In questo idilliaco mondo rurale, lontano dalle luci dei riflettori e dal suo mondo patinato e cinico, Guia incontrerà vari personaggi, ognuno dei quali le trasmetterà un insegnamento, e scoprirà così i veri sentimenti, abbattendo il suo muro fatto di pregiudizi e di false illusioni. Scoprirà l’empatia, la tenerezza e soprattutto incontrerà l’amore vero, quando si imbatterà in Renzo, vedovo con un figlio a carico che governa la stessa fattoria. Il colpo di fulmine tra i due sarà istantaneo ma i loro mondi si riveleranno da subito molto distanti…

Un cast eccezionale con attori coinvolgenti come Sabrina Impacciatore, Neri Marcorè, Emilio Solfrizzi, Nino Frassica e una colonna sonora firmata dal celebre cantautore Francesco De Gregori, per farci un po’ sognare e per farci capire che la felicità, quella vera, cammina con noi di pari passo, ma che spesso non siamo capaci di riconoscere e la ignoriamo, rincorrendo un’altra felicità che purtroppo è solo apparente.


(Barbara Manna)


Gone girl - L'Amore bugiardo   di David Fincher

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Ben Affleck e Rosamund Pike sono gli interpreti del film tratto dall’omonimo romanzo di Gilian Flynn, e diretto dalla maestria di David Fincher, che racconta la vicenda di una coppia perfetta e invidiabile: Nick ed Amy: lei, imperturbabile scrittrice colta e complicata, ex  bambina prodigio protagonista di una celebre serie di libri intitolata “Mitica Amy”, proveniente da una famiglia benestante di New York  e lui,  giovane scrittore dal fascino irresistibile, dal sorriso ambiguo  e dalla battuta pronta.
Il colpo di fulmine scattato tra loro, li porta inevitabilmente al matrimonio ma, dopo 5 anni (nel corso dei quali entrambi perdono il lavoro e sono costretti a vendere la casa di Manhattan per far ritorno nel Missouri), l’intesa fra i giovani sposi inizia a vacillare, finché una mattina, e precisamente il giorno del loro quinto anniversario, Amy scompare misteriosamente di casa lasciando in cucina tracce di sangue e nel salotto segni evidenti di una violenta colluttazione.

I sospetti logicamente ricadono sul marito, il quale, senza un alibi, si confessa innocente ed estraneo ai fatti.  Ben presto però la Polizia, indagando sulla vita privata di Nick, scopre che è Amy  la benestante della coppia, contestualmente intestataria della casa, dell’auto, del bar che lui gestisce con la sorella gemella, della polizza vita e viene a galla, con grande scalpore per l’opinione pubblica della piccola città del Missouri, la relazione clandestina, che Nick in seguito confesserà di aver avuto, con una studentessa del posto, poco più che ventenne.

La trama si infittisce nel momento in cui,  durante le indagini portate avanti da un’arguta detective, viene ritrovato, semibruciato in una vecchia stufa, il diario segreto di Amy, in cui vengono dettagliatamente riportati torbidi e raccapriccianti segreti sulla sua vita matrimoniale con Nick Dunne. Quest’ultimo dal canto suo nega tutto e per difendersi avvia un’indagine parallela con l’aiuto di un noto penalista.

Ma se Nick dice la verità, allora dov’è Amy? Le due verità sono raccontate dai due protagonisti in un ritmo incessante ricco di suspense, attesa e sorpresa. Un film coinvolgente, profondo, in cui vengono delineati personaggi complessi e a volte si rasenta la follia, alle prese con l’opinione pubblica, con la curiosità, con l’attenzione spasmodica della ricerca di un colpevole e solo nel finale verrà dimostrato come e perché i fatti possono essere interpretati in altro modo…


(Barbara Manna)


Leopardi - Il giovane favoloso

di Mario Martone

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Difficile raccontare Leopardi, il cui nome è solitamente accostato a quello dei cantori dell’infelicità umana, quali Byron, o dei filosofi pessimisti come Schopenhauer; le parole dei critici che cercano ancor oggi di scrivere su di lui restano solo un tentativo di interpretare la sua complessità: una complessità di cui si intravvedono solo frammenti, poiché è una vera impresa spiegare le sue riflessioni, le origini dei suoi pensieri, la grandezza della sua determinazione, della sua fatica, e ancora più impegnativo riuscirvi con quella dei suoi ideali, di tutto quel tempo speso a decifrare la vita senza rinunciare alla tenerezza.
Pertanto, quale attore al mondo poteva rendere giustizia a Giacomo Leopardi? Elio Germano, ben  diretto da Mario Martone, ha vinto la sfida, riuscendo ad immergersi totalmente nel personaggio nella misura che solo i grandi attori raggiungono, ovvero senza intellettualizzare,  rendendo perfettamente l’immagine del poeta con tutta la sofferenza e la melanconia di un giovane favoloso e straordinario, dotato di grande energia interiore.
L’attore ha guardato il mondo con gli occhi del poeta, rendendoci partecipi della scoperta dell’ineluttabilità dell’umano dolore entro una realtà governata da leggi meccaniche, ed è stato felice, afflitto, ambiguo, spesso enigmaticamente incompreso e perciò è risultato unico e quindi irraggiungibile.
Altera l’interpretazione della giovinezza del Leopardi, permeata di un’innocenza istintiva e primordiale, caratterizzata da un’intensa vita interiore, chiusa dalle limitazioni imposte dalla severa disciplina familiare, dalla graduale attenuazione degli ameni inganni, propri di tale età.
Un giovane favoloso dunque che con le sue poesie, recitate nel film, riesce a consolare il nostro animo e prova con successo ad  accendere gli entusiasmi e le passioni sopite.


Barbara Manna


I nostri ragazzi

di Ivano De Matteo

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Ivano De Matteo, giovane (48 anni) regista romano di buona esperienza, ha portato a Venezia la sua ultima creatura, “I nostri ragazzi”, vincendone il Label Europa Cinemas per il miglior film europeo delle giornate degli autori. Indovinata la scelta del soggetto, che si ispira al romanzo “La cena” di Herman Koch. Nonostante, a causa dei diritti già ceduti a Cate Blanchett per il suo debutto di regista, De Matteo abbia dovuto, ben aiutato nella sceneggiatura dalla moglie Valentina Ferlan, modificarne decisamente la storia, egli ha scelto un argomento interessante e ideale per creare discussioni; e non è poco. Rispetto al romanzo, che si sviluppa tutto in un ristorante, la trama del film si svolge in ambienti diversi. Non che il ristorante non ci sia, ma assume un’importanza solo marginale, forse più destinata a gratificare il noto locale utilizzato, che a costituirne la spina dorsale. Due fratelli si incontrano mensilmente a cena in quel posto, con le mogli (Giovanna Mezzogiorno e Barbora Bobulova) incompatibili fra loro quanto gli stessi caratteri dei fratelli, avvocato spregiudicato l’uno (Alessandro Gassman), chirurgo pediatra di grande umanità l’altro (Luigi Lo Cascio). Dopo le fasi iniziali che ci descrivono i ruoli, arriva il fatto che capovolgerà, oltre alle vite di tutti i personaggi, anche tutte le idee su di loro che ci eravamo costruiti in precedenza. Quando “Chi l’ha visto?” manda in onda le immagini di un vile pestaggio operato da due ragazzi nei confronti di una barbona (che poi morirà) i genitori scopriranno che i colpevoli sono proprio i due viziati cuginetti sedicenni (specialmente la ragazza, Rosabell Laurenti Sellers, figlia di Gassman dall’apparenza angelica, ed il ricordo di Erika torna alla mente istintivo). Da questo momento, e fino all’ultima scena, c’è un crescendo di emozioni che coinvolge anche lo spettatore: stavolta, però, non saranno emozioni “passive”, date di solito dall’attesa degli eventi, ma costringeranno ogni adulto a pensare a quello che avrebbe fatto al loro posto.
E, come fanno i quattro commensali, finendo di prendere la decisione finale proprio alla solita tavola, noi stessi ci poniamo più volte il dilemma: denunciarli o coprirli? Sarà solo uno dei quattro e il meno prevedibile fra loro a dire la cosa giusta. Ma scelte dure da operare nella realtà da parte di un mondo borghese che queste cose le ha viste solo in TV rischiano di creare reazioni sconvolgenti. Dopo lo choc finale, difficilmente gli spettatori lasceranno la sala senza discutere sull’opportunità delle scelte e sulle ragioni.
La realizzazione però è tutta italiana e si vede. I tempi, l’uso di campi lunghi e primi piani, la fotografia e la direzione degli attori (individualmente tutti molto bravi) non hanno creato, a nostro avviso, quell’amalgama che nelle pellicole (ahinoi) di altri paesi, USA in primis, al di là dei contenuti fanno dimenticare di essere al cinema perché ti rapiscono dentro lo schermo. Vorremmo recuperare, insomma, il primato che ci davano nel settore i maestri degli anni 60-70, ma ci sembra che la strada sia ancora lunga. Le 3 stelle che ha ricevuto questo film nella media dei giudizi della critica, crediamo che senza le carenze appena dette avrebbero potuto essere di più ma riteniamo comunque che la pellicola meriti la visione.



M. O.


Jersey Boys

di Clint Eastwood

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Solo il genio romantico di Clint Eastwood ad 84 anni poteva realizzare una storia così emozionante, regalando al pubblico un'opera biografica magistralmente diretta e trascinante su Frankie Valli ed i Four Seasons, con le vicissitudini di quattro giovanissimi ragazzi del New Jersey che hanno scritto un pezzo di storia della musica rock.

È un racconto grandioso che inizia nei magici anni 50, quando ancora i Beatles erano sconosciuti, ed essi segnarono un'epoca nel costume, nella moda, nell'arte ma soprattutto nella musica. E loro, Frankie, Bob, Tommy e Nick, vivevano quel tempo fatto di piccole bande, furtarelli, attività clandestine, come un gioco: che altro potevano fare? La violenza non l'avevano certo inventata loro che erano dei sognatori malinconici e testardi, con quell'idea di fare successo e di riscattarsi come artisti, sorridendo alla vita e ai loro vent'anni.

La loro, prima che una formazione canora, è una storia di amicizia, di passione, di delusioni e di rivincite che li portò a scalare, con il loro sound, le classifiche americane. Coraggiosi, con la sicurezza e l'istinto che solo la gioventù sa offrire, bucheranno il grande schermo e il pubblico, credendo di essere a Broadway, vorrà applaudire a tutte le loro celebri canzoni come Sherry, Walk like a man, Rag Doll e l’intramontabile Can't take my eyes off you...


Barbara Manna


Solo gli amanti sopravvivono

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film di Jim Jarmuch

Jim Jarmuch ci parla di vampiri che si amano e forse vorrebbe che noi amassimo i vampiri. Un vecchio giradischi suona musica funebre, mentre un uomo e una donna, giovani e bellissimi, stanno per incontrarsi nuovamente, dopo aver viaggiato nei secoli, per amarsi ancora: così si apre il film diretto dal regista americano, la cui arte è quella di raccontare, con una ballata romantica in chiave moderna, l’amore vero, semplice ma eterno, quello che fa battere il cuore all’impazzata e fa scorrere il sangue nelle vene, l’amore tanto decantato da scrittori e poeti di ogni tempo.

I protagonisti sono Adam, (Tom Hiddleston), musicista tormentato e malinconico che vive, quasi sepolto dai ricordi del passato nostalgico dei poeti ottocenteschi, in un quartiere fantasma della romantica e desolata città di Detroit, ed Eve (Tilda Swinton), colta e sofisticata, algida e  materna, che abita nella fascinosa Tangeri e che, con il solo tocco delle dita, riesce a leggere centinaia di testi antichi in svariate lingue. Sono vampiri ma non mietono vittime, poiché rispettano la sacralità della vita umana e, per farlo, tentano di sopravvivere nelle tenebre del XXI secolo, nutrendosi di linfa vitale realizzata in laboratorio. Il rischio immanente per le due creature è quello di scomparire definitivamente, vivendo in un tempo impuro, dove ormai dilaga la corruzione, che ha confinato in un cantuccio la magia e la bellezza dell’arte e del sapere, la dolcezza e lo struggimento della musica classica, la maestria dei poeti e l’eccellenza appartenente soltanto a personaggi di epoche passate,.

Ma Adam ed Eve prima di essere vampiri sono amanti, ed hanno una sola possibilità di sopravvivenza in questo moderno giardino dell’Eden: amarsi ancora, e se per i dubbiosi tutto ciò è l’ennesima invenzione, ricordiamoci che Shakspeare scriveva che l’amore non è soggetto al tempo, l’amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio. Se questo è un errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto e nessuno ha mai amato.


Barbara Manna

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