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Rumori da dentro


di Stefano Torossi


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Ci sono musicisti sfortunati che non sentivano niente da fuori, ma erano tormentati da scrosci, fischi e sibili da dentro: i sordi.

Smetana, il padre della Moldava, entrato nel tunnel a cinquant’anni mentre era in pieno lavoro, e rovinato da cure cervellotiche. Un medico famoso a Praga, il dottor Zoufal (bisogna farli, i nomi dei ciarlatani) gli aveva prescritto una serie di docce di etere. Dopo le quali perse definitivamente l’unico orecchio che ancora funzionava, e cominciò a sentire prima un fischio continuo, che inserì come nota ossessiva nell’ultimo movimento di un suo quartetto, poi “un fragore incessante come se fossi sotto un’enorme cascata d’acqua”. Il poveruomo, reso pazzo dai suoi suoni da dentro, finì in manicomio. Amen.

Fauré, autore del famoso Requiem, fece in tempo a scrivere molto, perché, mentre già la sua musica girava per il mondo rendendolo famoso, la sordità lo catturò solo a settant’anni, e lo costrinse a rinchiudersi in casa a non fare più niente tranne fumare, fumare e fumare. Un povero vecchio asmatico, alla fine morto di polmoni.

Il più famoso, che neanche nominiamo, si prese la fregatura suprema davvero presto, a ventotto anni, anche lui con fischi e rombi nel cervello, vergognoso di dovere ammettere “un’infermità proprio in quel senso che in me dovrebbe essere più perfetto”. C’è l’aneddoto, chissà se vero, dell’esecuzione della Nona, nel 1824, diretta da lui stesso. La musica finita, gli applausi esplosi; ma lui continuava ad agitare la bacchetta, finché il contralto Caroline Unger lo tirò per la manica e lo fece girare verso il pubblico. E’ chiaro che i suonatori non seguivano lui, ma il primo violino; ma come mai il maestro, anche se preso dalla passione, non si era accorto che gli archetti erano fermi?

In mezzo a tutta la santificazione romantica dell’artista infelice, ci sembrano particolarmente irritanti le osservazioni del critico e biografo, Maynard Solomon, il quale, scrivendo degli ultimi problematicissimi anni di Beethoven, la spara grossa.

“In un certo senso – dice - la sordità ebbe un effetto positivo sulla sua creatività, permettendogli di concentrarsi totalmente sulla composizione”. E continua, il sadico: “In questo suo mondo di sordo, poté sperimentare, libero dai suoni invadenti dell’ambiente esterno”. Una fortuna, insomma.

Per noi. Ma così pensiamo all’artista e dimentichiamo l’uomo. E siccome a noi piacciono le sue sinfonie, non ci viene neanche in mente che magari lui personalmente avrebbe preferito scriverne una di meno, ma sentire gli zoccoli dei cavalli sul selciato, le bestemmie dei vetturini e lo spignattare della cuoca in cucina. O, ancora meglio, quello che scriveva.




Così si rompe… il David di Michelangelo 

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Analisi dei meccanismi di rottura del monumento eseguiti dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche, attraverso esperimenti a piccola scala in centrifuga. I danni sono relativi all’inclinazione della statua. La ricerca è pubblicata sul Journal of Cultural Heritage 

A causa del suo inestimabile valore il David di Michelangelo, uno dei simboli del Rinascimento italiano, è stato oggetto di molte analisi di stabilità rivolte in particolare a una serie di micro-fratture della porzione inferiore di entrambe le gambe, notate già dalla metà del XIX secolo. Visibili nella caviglia sinistra e nel tronco destro, minacciano la stabilità dell'opera e quindi una loro approfondita conoscenza è indispensabile per la salvaguardia di questo capolavoro.

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Igg-Cnr) e dell’Università degli Studi di Firenze ha eseguito un approccio sperimentale su repliche in gesso della statua a scala ridotta (10 cm di altezza invece di 410), deformate all'interno di una centrifuga. I risultati sono pubblicati sul Journal of Cultural Heritage.

“Durante la rotazione all'interno dell'apparato, i modelli a piccola scala sono sottoposti a forze molto più elevate della forza di gravità, ma che agiscono con le stesse modalità”, spiega Giacomo Corti dell’Igg-Cnr. “In differenti prove, le piccole statue sono state sottoposte a una forza centrifuga crescente, rendendo la statua sempre più ‘pesante’, finché gli sforzi gravitazionali superano la resistenza del materiale e si giunge alla rottura”.

Gli esperimenti hanno analizzato l'influenza di vari parametri. “In particolare, i risultati suggeriscono come sia la stabilità sia le caratteristiche della deformazione del David siano principalmente dovute all'inclinazione della statua. Innanzitutto, maggiore è l'angolo di inclinazione, maggiore è l'instabilità della statua sotto il proprio peso, particolarmente per inclinazioni maggiori di 15°. Inoltre, l'inclinazione influenza anche la posizione delle fratture, che tendono a interessare porzioni via via più alte: nella gamba destra, sopra i 15° la frattura avviene sempre al di sopra del tronco d'albero”, prosegue il ricercatore.

La comparazione di questi risultati con le lesioni rilevate sul David reale suggeriscono che “una costante inclinazione della statua, ancorché non superiore a 5°, abbia rappresentato il fattore critico per lo sviluppo dei sistemi di fratture nelle porzioni inferiori di entrambe le gambe”, conclude Corti. “Questa piccola inclinazione è probabilmente legata all'abbassamento non uniforme, con conseguente piccola rotazione del plinto su cui poggia la statua, durante la sua permanenza di fronte a Palazzo Vecchio, tra il 1504 e il 1873”.



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