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POESIA

Oggi sono venuti a confiscare l'eredità che mi

hai lasciato

di Pier Giorgio Francia

La poesia di Fawziyya Abu Khalid è una tipologia letteraria per eccellenza del mondo arabo,  un mondo che si esprime in una lingua dal lessico infinito e dalle meravigliose potenzialità fonetiche, naturalmente ricca di sfumature e musicalità. Ma prima di entrare nelle "emozioni poetiche" di Fawziyya poetessa saudita voglio, per chi non conosce questo mondo che va vissuto per capirlo, fare un breve cenno sulla poesia araba: ''Nata in epoca preislamica come genere contraddistinto da regole, ritmi e metri codificati e inalterabili, la poesia araba ha subito una vera e propria rivoluzione a partire dagli anni Quaranta del Novecento; artefice di questo sconvolgimento fu una donna, l'irachena Nazik al-Mala'ika, che per prima ha infranto una serie di tabù. Sta proprio in questo - la ricerca di libertà, il desiderio di raggiungere e superare i limiti imposti dalla tradizione - la frattura con il passato". Una sfida che Fawziyya Abu Khalid vive sulla carta e nella  realtà quotidiana (non a caso è stata "mobizzata" nel suo paese, l'Arabia Saudita, per essersi scoperta il capo e aver letto poesie in pubblico e, per queste ragioni, espulsa dall'insegnamento dall'Università di Riyadh dove ha insegnato dal1985 al1996). riproducendo con i suoi versi temi di attualità, come la guerra, o eterni, come le inquietudini esistenziali, il sentimento, l'amore per il deserto che eleva al ruolo di una "divinità". E, in senso emozionale, quest'amore per il deserto lo rivive nell'incantevole poesia "Cordone ombelicale":

"Mia madre ha tratto dal deserto/ una stringa

di sabbia/ e l'ha annodata all'ombelico./ Non

importa quanto lontano io vada:/ sono come

un secchiello/che tenta invano/ di raccogliere

la luna/ riflessa nello specchio dell'acqua/

nella profondità di un pozzo".

Leggendo i melanconici e suggestivi versi delle poesie di Fawziyya Abu Khalid, ho ricordato i lunghi anni di residenza a Riyadh, gli stessi anni in cui insegnava,  come me, e ricordare - a tanti anni di distanza - quell'espulsione mi ha fatto assimilare la mia rabbia alla sua, alla sua disperazione, ma, soprattutto, all'amore per il deserto che ho condiviso e, ancora oggi, condivido con la memoria.

Sono certo che il suo comportan1ento, le sue prese di posizione, non erano altro che  un modo per scuotere gli animi dei Sauditi (i Beduini sono solo nomadi senza presenza politica), dei loro padri e fratelli. Un comportamento che l'accomuna a tutte le altre poetesse
arabe con la sensibilità che supera ogni religione, ogni tabù, rimorso, rimpianto o pentimento,  perché le voci delle donne, che siano arabe o cristiane, occidentali o orientali vogliono  essere libere dall'oppressione del senso di colpa e dal tormento del peccato.

Concludo con la splendida poesia "L’eredità della madre".


Fawziyya Abu Khalia

Immagine
è nata a Riyadh nel1959. Ha conseguito la laurea in sociologia all' Università Americana di Beirut in Libano e negli Stati Uniti, e una laurea dalla King Saud University, di Riyadh dove, come docente di sociologia ha insegnato dal 1985 al 1996. E' stata attaccata nel suo paese per essersi scoperta il capo e aver letto poesie in pubblico. Ha pubblicato tre libri di poesia.


L'eredità della madre


Madre,

tu non mi hai lasciato un'eredità di collane per un matrimonio

ma un collo che si staglia sulla ghigliottina;

non un velo ricamato  per il mio viso

ma gli occhi di un falco scintillanti come pugnali

nelle cinture dei nostri uomini;

non un pezzo di terra grande abbastanza per piantarvi una sola palma da datteri

ma il primo frutto della Fertile Mezzaluna: il mio grembo!

Lasciami dormire  con tutti i bambini del nostro quartiere

perché la mia agonia faccia nascere nuovi ribelli.

Nel cespite delle tue volontà

pensai di trovare un seme del Giardino dell'Eden

da piantare nel mio cuore, abbandonato dalle stagioni.

Invece mi hai lasciato, con una spada senza fodero,

il nome di un oscuro figlio impresso sulla sua lama.

Ogni poro in me, ogni ferita è aperta: un fodero!

Ho affondato la spada nel mio cuore

ma la parete non poteva contenerla.

L'ho piantata nei miei polmoni

ma la finestra non poteva racchiuderla.

l'ho immersa nel mio busto

ma la dimora era troppo piccola per essa.

Si è allungata nelle strade

sfogliando le decorazioni delle feste ufficiali,

dissodando l'asfalto,

annunciando la stagione

della Festa che verrà.

Madre, oggi sono venuti a confiscare l'eredità che mi hai lasciato.

Non hanno potuto decifrare le impronte dei bambini;

non hanno potuto percorrere la strada che si estende tra le arterie del mio cuore

e il cordone che nutre il nascituro nel grembo di ogni madre.

Hanno sequestrato  i bambini del quartiere  per interrogarli.

Non potevano condannare l'innocenza che è nei loro occhi.

Hanno cercato nelle mie tasche, mi hanno tolto le vesti, sbucciato la pelle,

ma non sono riusciti a raggiungere la lucida seta che annida

le due colombe nel mio petto.
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