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IL (NON)SENSO SOCIALE

di Maurizio Oliviero

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In tutto il mondo, ai bambini, la mamma racconta la favola della cicala e della formica. Tempo sprecato, per gli italiani. Anche perché a noi la cicala piace e la formica resta antipatica. Jean de La Fontaine  però, scegliendo di rielaborare l’idea di Esopo, in realtà non voleva decantare la bellezza e il piacere del lavoro in genere, ma solo sottolinearne l’utilità sociale.

In passato nessuno si poneva questo problema e in Italia, purtroppo non se lo pone tuttora quasi nessuno. Allora decideva il sole. All’equatore, la possibilità di vivere anche nudi e mangiando banane spingeva al lavoro solo quelli che desideravano il superfluo; lavorare, in pratica, era un optional. Nei paesi freddi, invece, se non ci si organizzava, l’ambiente ti uccideva: il lavoro e il senso sociale non erano una scelta ma un obbligo.

Oggi la tecnica ha risolto i problemi climatici e in pochi anni il mondo si è trasformato ma il senso sociale è diventato indispensabile a tutte le latitudini. Chi lo ignora è destinato a soccombere e in futuro perfino i popoli latini, apparentemente i più felici per l’abitudine diffusa di ridere e ballare, dovranno adeguarsi. Ci riusciremo anche noi italiani?

Ma che cos’è il “senso sociale” e perché è così importante?  La parola “senso”, infatti, rimanda a qualcosa di soggettivo come una scelta di comportamento, mentre il rispetto completo delle regole sociali  sarebbe più corretto chiamarlo “dovere sociale”; gli anglosassoni, per esempio, l’hanno innato ma noi no e, se non ce l’hanno insegnato né a casa né a scuola, come facciamo ad applicarlo?


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Il  nostro stile di vita, specialmente nel centro-sud, è particolarmente inquietante agli occhi di uno straniero contemporaneo. Chi trova liberi due parcheggi contigui li occupa entrambi e rubare posti in una qualsiasi fila è un’arte applicata perfino dalle vecchiette di buona famiglia. Nessuno vuol bene al prossimo e il “cuore d’oro” dei napoletani è una balla. L’uso di espedienti non è visto come un segno di disonestà ma di furbizia e crea molti tentativi d'imitazione; la faccia tosta (per cui Roma supera tutti) spinge a sfoggiare azioni maleducate e piccoli soprusi addirittura come una dimostrazione di potere. Il semplice reclamo di un danneggiato contro un atto incivile verso di lui viene considerato una seccatura, come se i diritti degli altri non fossero importanti: il prossimo, insomma, sta al mondo unicamente per darci fastidio. In tutti i Paesi civili, invece, si sa che gli altri esistono per migliorare la nostra vita e che senza di loro torneremmo nel medioevo.

Una società, ovvero un insieme di persone, ha possibilità di sopravvivere e svilupparsi soltanto nel rispetto di basilari principi, il primo dei quali è quello di rispettare gli altri: i danni fatti al prossimo (e all’ambiente) ci ricadranno addosso moltiplicati. Questo sembra un concetto banale e di fatto lo è! Perché allora nel nostro Paese le sole ad occuparsene sono alcune associazioni e fra l’altro lo fanno (ma è meglio di niente) a scopo di lucro? Di fatto sarebbe compito del governo ma esso è composto da persone interessate che spendono il 90% del loro tempo per cercare (curiosamente senza nemmeno nasconderlo) di conservare poltrona e privilegi. Renzi ne dice tante (troppe) ma non l’abbiamo mai sentito criticare stile e abitudini del nostro popolo: forse non ha capito l’importanza del problema, o più probabilmente l’ha capita ma ritiene che un popolo siffatto sia l’unico che gli consenta addirittura di crescere nella considerazione proprio straparlando. Eppure gli basterebbe promuovere prevenzione e istruzione come le vere risorse a lungo termine. Contro le alluvioni, per esempio, costa meno organizzare un territorio con interventi definitivi che riparare anno per anno i danni... E sarebbe facile e gratuito risolvere molti problemi del futuro, semplicemente predisponendo al senso sociale i bambini nelle scuole. Con due grandi risultati: si preparerebbe il popolo di domani ad una collettività socialmente corretta (l’unica che potrà sopravvivere, perché non occorre essere Jules Verne per immaginare che altrimenti il mondo umano finirà) e si renderebbero più forti e consapevoli i “buoni”, che nonostante tutto sono la grande maggioranza. Se si parlasse di corruzione, a scuola,  spiegando bene il danno che questa comporta, la vita dei corrotti, vero cancro di questa società, sarebbe certamente destinata a cambiare. I “cattivi”, come molti politici, come i mafiosi, i delinquenti, gente che per interesse arriva ad inquinare con materiale radioattivo perfino il terreno su cui poggia i piedi, sono tanti ma numericamente di gran lunga inferiori alla massa “buona”, che purtroppo è abituata a subire e sopporta ogni azione a proprio danno reagendo poco o niente. Solo fino ad oggi, speriamo.

Anche senza l’inutile violenza professata da altre culture, in futuro molto dovrà cambiare e il mondo intero dovrà trovare un modo per prolungare, almeno di qualche millennio, questo autentico miracolo che è la vita. Spegnerlo in pochi anni, come succederà se non recuperiamo il “senso” della realtà, sarebbe un vero peccato.

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