L’ipertensione sistolica (pressione sistolica
o massima superiore a 140 mmHg e pressione diastolica o
minima inferiore a 90 mmHg) è la forma di incremento pressorio
più frequente nell’iperteso con oltre 65 anni. Deriva da
una diminuita distensibilità ed elasticità dell’aorta
e delle arterie di grosso calibro
per un processo aterosclerotico degenerativo favorito dalla stessa ipertensione e/o dall’infiltrazione nelle arterie di
lipidi (grassi), per le non rare alterazioni metaboliche che accompagnano l’iperteso. In
questi
casi le arterie colpite di-
ventano meno rispondenti in termini di elasticità
alle sollecitazioni pressorie, realizzando sul piano clinico un aumento della pressione differenziale (si ricava sottraendo dai valori sistolici aumentati i valori diastolici diminuiti) che si associa in generale ad un elevato rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare.
Nell’iperteso anziano la misurazione della pressione è soggetta a frequenti errori. Tra questi nel 5-8% dei soggetti si
può verificare il fenomeno della pseudo-ipertensione, che esprime la ridotta
elasticità delle arterie (in questo caso dell’arteria omerale).
Si tratta di una discrepanza tra i toni della pressione sistolica che scompaiono all’ascoltazione della piega del gomito, mentre a livello dell’arteria
radiale (polso)
può essere percepito ancora un battito. Si ricorda anche
che l’anziano può essere portatore di
un’ipertensione arteriosa sistolica e diastolica insorta
in età adulta (35-60 anni) in
un soggetto che supera i 65 anni
o raramente può
incominciare ad essere un
iperteso sisto-diastolico dopo questo periodo.
In tali casi bisogna
continuare la terapia antiipertensiva oppure iniziarla. L’anziano può essere
portatore di un’ipertensione secondaria da stenosi aterosclerotica in una o in entrambe
le arterie renali (ipertensione renovascolare) oppure da
complicanza del diabete, da malattie renali
come i reni policistici, ecc. Il trattamento antiipertensivo in tutti i
casi
deve essere iniziato
lentamente ed effettuato in modo progressivo con piccole dosi di più farmaci.
Il medico deve saper
spiegare al
paziente il valore e
la sicurezza di
assumere più prodotti per evitare la pericolosa
e repentina riduzione della pressione, specie nel passare dalla posizione sdraiata a quella in piedi (ipotensione ortostatica, che
è tipica
della persona anziana), che può favorire un
decremento di flusso a livello di organi vitali come il cuore o il cervello (ischemia). L’iperteso
anziano (65-80 anni), al contrario di come si riteneva
qualche anno fa, è
necessario che inizi precocemente il trattamento antiipertensivo e la terapia
verso gli altri eventuali fattori di rischio cardiovascolare presenti (diabete,
iperuricemia, alterazioni lipidiche, ecc.)
nella speranza di ridurre
la morbilità invalidante (cardiopatie, nefropatie, demenza, ictus, ecc.) e la mortalità cardiovascolare (ictus ischemico
ed emorragico, cardiopatia aritmica ed ischemica, insufficienza renale
cronica, ecc.) Gli studi più recenti
infine ci dicono che pure il grande anziano iperteso (oltre
gli 80 anni) deve effettuare il trattamento antiipertensivo perché anche a
questa età è possibile ottenere benefici da un controllo serio, continuo e razionale dei
fattori di rischio cardiovascolare, al
fine di evitare i gravi danni invalidanti propri di questo tempo della vita, come ad esempio il declino
cognitivo, l’insufficienza renale cronica e
la mortalità cardiovascolare.
* Docente di Nefrologia “Sapienza” – Università di Roma