Il 25 novembre è celebrata la giornata contro la violenza sulle donne. Forse non dovrebbe essere necessario indire una ricorrenza su un tema che andrebbe trattato con priorità ogni giorno. Ma se questa è utile a sensibilizzare l’attenzione popolare, ben venga.
La violenza ha svariate forme. La più immediata, suggerita dalla parola, è quella fisica. Altre tipologie di violenza psicologica, però, non provocano meno dolore, anzi: molte persone che hanno subito questi diversi soprusi avrebbero sicuramente preferito delle semplici botte.
Non entreremo in merito a descrizioni e nomenclature da psicologo, che non ci appartengono: vogliamo cercare di trovare un’interpretazione da persone comuni. Le donne hanno un’oggettiva inferiorità nella forza fisica ed è questo forse che le ha spinte, in passato, a ritenersi esse stesse soggette all’uomo in generale. Oggi, parlando ovviamente della società occidentale, questo concetto sembra in buona parte superato. In effetti, gran parte delle nostre compagne, sorelle e figlie non paiono più intimorite dai maschi: al contrario! Allora perché esistono ancora tanti casi di violenza sulle donne?
Anche se si deve riconoscere che gli episodi sono sensibilmente diminuiti rispetto al passato, quando nelle famiglie le donne venivano, se non picchiate, sicuramente costrette al silenzio in percentuale inquietante, il problema è tutt’oggi molto diffuso. Solo che prima le vittime non potevano nemmeno dirlo alla portinaia (e si vergognavano di farlo), mentre ora le denunce di questo tipo sono in aumento esponenziale. Comunque, i casi che si verificano sono davvero troppi. Per eliminarli quasi del tutto, più che manifestare nelle piazze (inutile perché i violenti si beano di suppliche e lamentele, sentendosi paradossalmente e vigliaccamente rinforzati dal timore prodotto), occorre agire attraverso due strade: analisi delle cause e applicazione efficace dei rimedi.
Le cause della violenza sono per lo più l’insicurezza e l’ignoranza, che generano un senso di inferiorità intellettuale cui il soggetto reagisce con la prevaricazione fisica. Un uomo in gamba di solito non alza le mani. Assodato quindi che un artefice di violenze non si può educare perché già danneggiato nella sua testa, il rimedio non può che essere assolutamente drastico. La legge occidentale, purtroppo, è piena di lacune. Ma se si vuole veramente fermare la violenza sulle donne occorre fermare senza abbuono i violenti.
Nessun patteggiamento per questi reati, nessuno sconto di pena, allontanamento coatto permanente (come negli USA) dalle zone di residenza delle vittime e, specialmente, trent’anni a chi ci riprova! Questo costituirebbe l’unico rimedio dissuasivo (la prima volta ti faccio “assaggiare” la prigione, la seconda butto la chiave) attuabile con il nostro ordinamento per prevenire i femminicidi (brutto neologismo ma dà bene l’idea).
Inoltre occorre valutare con attenzione le denunce preventive: qualcuno dovrà pur occuparsi dei casi prima che finiscano in tragedia, perché queste tragedie sono quasi tutte annunciate e la legge com’è ammette l’intervento solo dopo che il guaio è fatto. Facile parlare, è vero, ma anche se l’argomento è delicato, esso va affrontato di petto, perché le vittime che si potevano evitare stanno sulla coscienza di chi, ossequioso delle regole indulgenti della nostra normativa, si limita ad applicarle ciecamente senza spingere chi di dovere ad iniziare a cambiarle. Si faccia ponderatamente ma si faccia!
Con tutto il rispetto che (a fatica) conserviamo per la giustizia, riteniamo davvero immorale vedere a spasso chi ha distrutto con arroganza la vita di un’innocente e giustissimo, al contrario, pensare che chi alza le mani su una donna dovrebbe ritrovarsi le sue spezzate.