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PALESTINA: IERI, OGGI E DOMANI...

di Maurizio Oliviero

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A Gaza si sono superate le peggiori previsioni. La distruzione dell’unica centrale elettrica è stata riportata come uno dei tanti danni ma può creare una catastrofe sociale.  Il mondo occidentale se ne occupa ma non abbastanza, invece avrebbe molti motivi per farlo... Per capirli bene, però, vogliamo fare alcune considerazioni a monte, forse banali ma che la gente sembra dimenticare, visto che tratta di quest’argomento come fosse una delle ricorrenti scaramucce di quell’area...

Il mondo, oggi. Fino al 1948, quando fu proclamato il moderno Stato di Israele, le società di tutto il mondo erano accomunate da una morale e da regole sociali che le rendevano simili a quelle di duemila e passa anni prima. Nei sessant’anni successivi, gran parte del mondo, grazie allo sviluppo tecnologico, ha completamente capovolto quelle regole; il che, se da un lato ha portato al trionfo di Facebook, criticato da molti, dall’altro ha eliminato del tutto le guerre negli (e fra) gli stati che hanno abbracciato questo progresso. Il senso sociale, di origine anglosassone, ha trionfato dappertutto (tranne che in Italia ed è il motivo per cui siamo rimasti indietro), mettendo la violenza fuori legge (non molti anni fa, invece, il vecchio senso della “morale” condizionava anche i tribunali, che ne giustificavano l’uso in molti casi); l’economia ha sostituito la forza nel creare le gerarchie di potere. Di recente, anche alcune grandi nazioni (BRIC,  ora BRICTS) si sono svegliate e stanno completando un cambiamento che ricorda il boom dei nostri anni ’60. In tempi brevi, così, anche lì scompariranno la violenza legalizzata e le guerre sui loro territori, e l’economia e il senso sociale faranno da padroni.
Qualcuno dirà che il potere economico porta alla crisi ma siamo certi che sia meglio soffrire per quella piuttosto che per l’ansia di aspettare un bombardamento.

Gli ultimi focolai. Al di fuori di questi paesi, è prevedibile che i prossimi ad adeguarsi saranno quelli dell’estremo oriente, non solo perché circondati da stati evoluti o in evoluzione (Russia, Giappone, Cina, India) ma perché popolati da razze che, al contrario di quanto sembra osservando gli ultimi atteggiamenti esaltati (Vietnam del Nord), hanno una natura mentale predisposta a sostituire, in tempi ragionevoli, le violenze fatte o minacciate fino ad oggi con le moderne regole sociali ed economiche. Gran parte della terra, insomma, è andata o sta andando verso la pace, e gli ultimi focolai (vedi Ucraina), una volta spenti, in futuro difficilmente si riaccenderanno. Molti resteranno sorpresi da queste affermazioni. Ma senza scomodare l’Ariosto, non è difficile arrivare alle conclusioni dette, proprio attraverso la storia. Una prova ne è il fatto che oggi è improbabile che riprenderanno le guerre jugoslave finite appena vent’anni fa.

Il medio oriente e i paesi musulmani.  C’è una parte del mondo, però, che non solo non trova pace, ma sembra non desiderare affatto l’evoluzione di cui parliamo, nemmeno in tempi lunghi.

I popoli in questione hanno un’altra filosofia di vita; anzi, i loro governi vedono proprio nel progresso il demone colpevole di un cambiamento che non vogliono perché li travolgerebbe. Coscienti di gestire un popolo culturalmente congelato, hanno esaltato l’uso intollerante della loro religione (altrimenti rispettabilissima)  per indurre a combattere con ogni mezzo noi, quali infedeli (quando sentiamo i nostri benpensanti – in Italia dare ragione agli altri è un piacere irrinunciabile - affermare che l’abbiamo fatto anche noi cristiani dobbiamo ricordare che le crociate risalgono al XIII secolo ed oggi siamo nel XXI).

Inoltre, è da tener presente che, per molti di questi popoli, la violenza non costituisce quell’orrore che giudichiamo noi e le loro leggi ne prevedono l’uso e l’abuso: in diversi paesi, si va ancora allo stadio per assistere e partecipare ad una lapidazione; la Siria, oggi, decide che tutte le donne andranno sottoposte a infibulazione (pratica da fuori di testa e fra l’altro masochistica anche per gli stessi uomini); la donna viene violata legalmente in tutti i modi; i dissensi sono puniti con la morte; le guerre civili, ormai uno stato normale di vita.

La diversità. La diversità, in genere, è riconosciuta dalle persone di cultura come un fatto positivo. In sostanza, per noi occidentali, non ci sarebbe nessun problema a lasciar vivere a modo loro tutti quelli che vogliono affermare le loro idee, basta che non facciano uso di violenza. Noi, per esempio, visitiamo le loro moschee con piacere e con il rispetto dovuto. Ma sbagliamo a non voler vedere le differenze di natura che ci distinguono da quelle persone. Sicuri di stare nel giusto, applichiamo, per esempio verso i migranti, le nostre regole sociali senza capire che loro non le condividono. Purtroppo, invece, con essi entrano in Europa idee radicate e pericolose (specialmente verso le donne, che qui, curiosamente, sono le prime a difenderli), mascherate da una condizione fisica stremata che ci induce alla commiserazione ma ci fa dimenticare che essi non rinunceranno mai all’odio verso di noi che gli è stato insegnato. Noi siamo e resteremo “infedeli”, per loro, e se fossero la maggioranza, invece di ringraziarci, abbatterebbero le nostre chiese. Ricordiamo un singalese musulmano in Italia da anni con moglie e bambino, persona educata e simpatica, buon lavoratore, che all’indomani del crollo delle torri gemelle ci venne incontro entusiasta per condividere, incoscientemente proprio con noi, la sua gioia!  Non abbiamo più voluto vederlo ma dove sarà adesso? E cosa farà se, come lui, qui diventeranno milioni? Credete che metteranno il lutto cittadino se muore qualche italiano, come abbiamo fatto noi per loro?

Il dialogo e Israele.  Dialogare con quei popoli quindi non è facile, nonostante annoverino poeti insigni e siano gli eredi di un’antica, grande civiltà. Israele, dal canto suo, è un paese che adotta due pesi e due misure. Con noi, occidentali evoluti, sa mantenere un rapporto pacifico e trattative al top, che la vedono addirittura vincente in una materia (l’economia) dove sono i maestri. Con il mondo arabo, però, ha capito che il dialogo non serve e – nell’impossibilità di conviverci - usa l’unico linguaggio da esso conosciuto, che è appunto quello della violenza. E qui sbaglia, perché non è vero che dove non bastano le parole si può risolvere con la forza. La forza serve solo agli animali nella giungla, che hanno poca memoria. Gli uomini invece ricordano, e la violenza alimenta faide senza fine, come si vede in questi giorni, che fanno pensare a un duello fra bambini in cui il più debole non dice “mi arrendo” e non lo dirà fino alla morte.  Nell’evidenza di questo, prende particolare importanza l’ipocrisia del nostro mondo che equivale a quella degli adulti presenti al duello che non intervengono. Perché questo?

Per tre motivi. Il primo è che, in assenza di ritorni economici, i mondi moderni non spostano una paglia (Kuwait, Iraq, Libia: sì; Siria e Palestina: no, è talmente evidente…). Il secondo, bisogna ammetterlo, se lo sono in buona parte cercato da soli questi popoli, promuovendo attentati assurdi. Quanta voglia possono avere gli americani di aiutare della gente che li odia e che, quando ha potuto, è arrivata ad abbattergli le torri gemelle?  Il terzo è la caparbietà di quella razza, probabilmente non così un pregio come credono loro.  Lanciano provocazioni (e piccoli razzi) anche quando vedono le loro famiglie e i loro bambini straziati. La loro testa, differentemente dalla nostra, dà priorità a princìpi cocciuti piuttosto che alla vita dei propri figli e questo noi occidentali non riusciamo a capirlo. Golda Meir non a caso disse che la pace ci sarebbe stata solo quando i Palestinesi avessero imparato ad amare i propri figli più di quanto odiassero gli Israeliani. La cosa più scandalosa, a nostro avviso, è proprio la naturalezza con cui fanno morire i loro bambini, esponendoli a pericoli di ogni genere (come nessuno di noi farebbe) e addirittura inserendoli nei programmi più vigliacchi, come spingere ad attacchi suicidi piccole di otto anni.  Nessun occidentale condividerebbe mai azioni simili eppure quelle persone si ritengono eroi.

Per di più, nemmeno la fratellanza di cui si vanta il mondo musulmano sembra funzionare così bene. Dove sono i fratelli dei Palestinesi? Perché non stanno alzando un dito per loro?

Di fatto, in un mondo che si preoccupa (giustamente) di stragi di balene ed elefanti, ora dobbiamo assistere a stragi di bambini. Con buona pace delle lacrime versate in TV da Chris Guness, portavoce delle Nazioni Unite a Gaza, mentre raccontava degli orrori visti, non dobbiamo intenerirci per i danni di una delle parti ma lavorare perché essi non si ripetano da entrambe le parti. Perché purtroppo quelle morti sono inutili, ma loro non se ne rendono conto. E lo conferma il paradosso più scellerato: proprio un musulmano, la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, propone di armare i più deboli (e far morire più gente), invece di invitare il mondo ad intervenire sui più forti, con il potere dell’economia e delle sue sanzioni, per farli ragionare.  Non vogliamo fare gli storici bene informati. Dobbiamo però ricordare di essere quelle persone consapevoli che nell’ultimo mezzo secolo si sono svegliate e ora avrebbero il dovere (anche nel proprio interesse) non di insegnare tattiche belliche ma di impegnarsi per aprire alla pace gli occhi di chi, per tradizione ma fosse anche solo per carenze naturali, non è ancora riuscito a farlo.


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