A Gaza si sono superate le peggiori previsioni. La
distruzione dell’unica centrale elettrica è stata riportata come uno dei tanti
danni ma può creare una catastrofe sociale. Il mondo occidentale se ne occupa ma non
abbastanza, invece avrebbe molti motivi per farlo... Per capirli bene, però, vogliamo fare
alcune considerazioni a monte, forse banali ma che la gente sembra dimenticare,
visto che tratta di quest’argomento come fosse una delle ricorrenti scaramucce di
quell’area...
Il mondo, oggi.
Fino al 1948, quando fu proclamato il moderno Stato di Israele, le società di
tutto il mondo erano accomunate da una morale e da regole sociali che le
rendevano simili a quelle di duemila e passa anni prima. Nei sessant’anni
successivi, gran parte del mondo, grazie allo sviluppo tecnologico, ha
completamente capovolto quelle regole; il che, se da un lato ha portato al
trionfo di Facebook, criticato da molti, dall’altro ha eliminato del tutto le
guerre negli (e fra) gli stati che hanno abbracciato questo progresso. Il senso
sociale, di origine anglosassone, ha trionfato dappertutto (tranne che in
Italia ed è il motivo per cui siamo rimasti indietro), mettendo la violenza
fuori legge (non molti anni fa, invece, il vecchio senso della “morale”
condizionava anche i tribunali, che ne giustificavano l’uso in molti casi); l’economia
ha sostituito la forza nel creare le gerarchie di potere. Di recente, anche
alcune grandi nazioni (BRIC, ora BRICTS)
si sono svegliate e stanno completando un cambiamento che ricorda il boom dei
nostri anni ’60. In tempi brevi, così, anche lì scompariranno la violenza
legalizzata e le guerre sui loro territori, e l’economia e il senso sociale
faranno da padroni.
Qualcuno dirà che il potere economico porta alla crisi ma
siamo certi che sia meglio soffrire per quella piuttosto che per l’ansia di
aspettare un bombardamento.
Gli ultimi focolai.
Al di fuori di questi paesi, è prevedibile che i prossimi ad adeguarsi saranno
quelli dell’estremo oriente, non solo perché circondati da stati evoluti o in
evoluzione (Russia, Giappone, Cina, India) ma perché popolati da razze che, al
contrario di quanto sembra osservando gli ultimi atteggiamenti esaltati
(Vietnam del Nord), hanno una natura mentale predisposta a sostituire, in tempi
ragionevoli, le violenze fatte o minacciate fino ad oggi con le moderne regole
sociali ed economiche. Gran parte della terra, insomma, è andata o sta andando
verso la pace, e gli ultimi focolai (vedi Ucraina), una volta spenti, in futuro
difficilmente si riaccenderanno. Molti resteranno sorpresi da queste
affermazioni. Ma senza scomodare l’Ariosto, non è difficile arrivare alle
conclusioni dette, proprio attraverso la storia. Una prova ne è il fatto che
oggi è improbabile che riprenderanno le guerre jugoslave finite appena
vent’anni fa.
Il medio oriente e i
paesi musulmani. C’è una parte del
mondo, però, che non solo non trova pace, ma sembra non desiderare affatto l’evoluzione
di cui parliamo, nemmeno in tempi lunghi.
I popoli in questione hanno un’altra filosofia di vita;
anzi, i loro governi vedono proprio nel progresso il demone colpevole di un
cambiamento che non vogliono perché li travolgerebbe. Coscienti di gestire un
popolo culturalmente congelato, hanno esaltato l’uso intollerante della loro
religione (altrimenti rispettabilissima) per indurre a combattere con ogni mezzo noi,
quali infedeli (quando sentiamo i nostri benpensanti – in Italia dare ragione
agli altri è un piacere irrinunciabile - affermare che l’abbiamo fatto anche
noi cristiani dobbiamo ricordare che le crociate risalgono al XIII secolo ed
oggi siamo nel XXI).
Inoltre, è da tener presente che, per molti di questi popoli,
la violenza non costituisce quell’orrore che giudichiamo noi e le loro leggi ne
prevedono l’uso e l’abuso: in diversi paesi, si va ancora allo stadio per
assistere e partecipare ad una lapidazione; la Siria, oggi, decide che tutte le
donne andranno sottoposte a infibulazione (pratica da fuori di testa e fra
l’altro masochistica anche per gli stessi uomini); la donna viene violata legalmente
in tutti i modi; i dissensi sono puniti con la morte; le guerre civili, ormai uno
stato normale di vita.
La diversità. La
diversità, in genere, è riconosciuta dalle persone di cultura come un fatto
positivo. In sostanza, per noi occidentali, non ci sarebbe nessun problema a
lasciar vivere a modo loro tutti quelli che vogliono affermare le loro idee,
basta che non facciano uso di violenza. Noi, per esempio, visitiamo le loro
moschee con piacere e con il rispetto dovuto. Ma sbagliamo a non voler vedere
le differenze di natura che ci distinguono da quelle persone. Sicuri di stare
nel giusto, applichiamo, per esempio verso i migranti, le nostre regole sociali
senza capire che loro non le condividono. Purtroppo, invece, con essi entrano in
Europa idee radicate e pericolose (specialmente verso le donne, che qui,
curiosamente, sono le prime a difenderli), mascherate da una condizione fisica
stremata che ci induce alla commiserazione ma ci fa dimenticare che essi non
rinunceranno mai all’odio verso di noi che gli è stato insegnato. Noi siamo e
resteremo “infedeli”, per loro, e se fossero la maggioranza, invece di
ringraziarci, abbatterebbero le nostre chiese. Ricordiamo un singalese
musulmano in Italia da anni con moglie e bambino, persona educata e simpatica, buon
lavoratore, che all’indomani del crollo delle torri gemelle ci venne incontro
entusiasta per condividere, incoscientemente proprio con noi, la sua
gioia! Non abbiamo più voluto vederlo ma
dove sarà adesso? E cosa farà se, come lui, qui diventeranno milioni? Credete
che metteranno il lutto cittadino se muore qualche italiano, come abbiamo fatto
noi per loro?
Il dialogo e Israele. Dialogare con quei popoli quindi non è
facile, nonostante annoverino poeti insigni e siano gli eredi di un’antica,
grande civiltà. Israele, dal canto suo, è un paese che adotta due pesi e due
misure. Con noi, occidentali evoluti, sa mantenere un rapporto pacifico e
trattative al top, che la vedono addirittura vincente in una materia
(l’economia) dove sono i maestri. Con il mondo arabo, però, ha capito che il
dialogo non serve e – nell’impossibilità di conviverci - usa l’unico linguaggio
da esso conosciuto, che è appunto quello della violenza. E qui sbaglia, perché
non è vero che dove non bastano le parole si può risolvere con la forza. La
forza serve solo agli animali nella giungla, che hanno poca memoria. Gli uomini
invece ricordano, e la violenza alimenta faide senza fine, come si vede in
questi giorni, che fanno pensare a un duello fra bambini in cui il più debole
non dice “mi arrendo” e non lo dirà fino alla morte. Nell’evidenza di questo, prende particolare
importanza l’ipocrisia del nostro mondo che equivale a quella degli adulti
presenti al duello che non intervengono. Perché questo?
Per tre motivi. Il primo è che, in assenza di ritorni economici,
i mondi moderni non spostano una paglia (Kuwait, Iraq, Libia: sì; Siria e
Palestina: no, è talmente evidente…). Il secondo, bisogna ammetterlo, se lo
sono in buona parte cercato da soli questi popoli, promuovendo attentati assurdi.
Quanta voglia possono avere gli americani di aiutare della gente che li odia e
che, quando ha potuto, è arrivata ad abbattergli le torri gemelle? Il terzo è la caparbietà di quella razza,
probabilmente non così un pregio come credono loro. Lanciano provocazioni (e piccoli razzi) anche
quando vedono le loro famiglie e i loro bambini straziati. La loro testa,
differentemente dalla nostra, dà priorità a princìpi cocciuti piuttosto che
alla vita dei propri figli e questo noi occidentali non riusciamo a capirlo. Golda
Meir non a caso disse che la pace ci sarebbe stata solo quando i Palestinesi
avessero imparato ad amare i propri figli più di quanto odiassero gli
Israeliani. La cosa più scandalosa, a nostro avviso, è proprio la naturalezza
con cui fanno morire i loro bambini, esponendoli a pericoli di ogni genere
(come nessuno di noi farebbe) e addirittura inserendoli nei programmi più
vigliacchi, come spingere ad attacchi suicidi piccole di otto anni. Nessun occidentale condividerebbe mai azioni
simili eppure quelle persone si ritengono eroi.
Per di più, nemmeno la fratellanza di cui si vanta il mondo
musulmano sembra funzionare così bene. Dove sono i fratelli dei Palestinesi?
Perché non stanno alzando un dito per loro?
Di fatto, in un mondo che si preoccupa (giustamente) di
stragi di balene ed elefanti, ora dobbiamo assistere a stragi di bambini. Con
buona pace delle lacrime versate in TV da Chris Guness, portavoce delle Nazioni
Unite a Gaza, mentre raccontava degli orrori visti, non dobbiamo intenerirci
per i danni di una delle parti ma lavorare perché essi non si ripetano da entrambe le parti. Perché purtroppo
quelle morti sono inutili, ma loro non se ne rendono conto. E lo conferma il
paradosso più scellerato: proprio un musulmano, la guida suprema iraniana,
l’ayatollah Ali Khamenei, propone di armare i più deboli (e far morire più
gente), invece di invitare il mondo ad intervenire sui più forti, con il potere
dell’economia e delle sue sanzioni, per farli ragionare. Non vogliamo fare gli storici bene informati. Dobbiamo
però ricordare di essere quelle persone consapevoli che nell’ultimo mezzo secolo
si sono svegliate e ora avrebbero il dovere (anche nel proprio interesse) non
di insegnare tattiche belliche ma di impegnarsi per aprire alla pace gli occhi
di chi, per tradizione ma fosse anche solo per carenze naturali, non è ancora
riuscito a farlo.