Denise Lupi fa parte dell’anima del Teatro dell’Opera di Roma da molti anni. Dopo la recente tirata di sospiro che ha consentito a 182 dipendenti di sperare nuovamente in un futuro in questa struttura, che sembrava doversi interrompere, la incontriamo davanti a una tazza di tè per sentirci raccontare in prima persona, a briglia sciolta, storie diverse e avvenimenti recenti di uno dei più importanti Teatri lirici italiani.
Libernews: Denise, vuole anzitutto parlarci un po’ di lei? Denise Lupi: Io sono scenografa realizzatrice. Questa è la figura che realizza la scenografia di un’opera. In pratica,la Direzione Artistica scrittura uno scenografo per l’opera in corso;si chiama scenografo bozzettista ed è colui che mette nero su bianco oppure in acquarello l’idea dello spettacolo. Poi quest’idea viene realizzata, facendo una restituzione scenografica con disegni tecnici specifici e poi va dipinta nelle dimensioni reali del teatro. Io sono quella che realizza fondali, quinte, sculture, decori, qualche volta decorazioni sia su oggetti sia su costumi, perché tutto ciò che è dipinto in teatro è più bello . Questa è un’arte che si chiama pittura di scena all'italiana ed è un mestiere da bottega, nel senso che un diplomato all'Accademia di Belle arti così come una laureata nella facoltà di architettura non può fare assolutamente niente prima di almeno 3-4 annidi praticantato; è un mestiere da bottega, noi dipingiamo in piedi con dei pennelli lunghissimi che vendono solo a Milano, fatti con pelo di bue e legati a mano; lavoriamo con i pigmenti,polveri, aggregati con colle sia sintetiche che naturali ed è un mestiere meraviglioso, eccezionale, che abbiamo ereditato dalla invenzione della scena all'italiana del '500, con una scuola del colore molto importante e difficile che permette di rendere anche a distanza la stessa intensità del bozzetto iniziale attraverso un sapiente uso delle tonalità , delle ombre e delle luci. E’ un’operazione complessa: vengono da tutto il mondo ad imparare a dipingere con questa tecnica particolare, su fondali immensi che vanno inchiodati su pavimenti di legno e spesso cuciti a mano.
L.: Questi fondali sono di legno o di tela? D.L.: I fondali sono di tela generalmente. Esistono anche scene costruite ma sono molto più pesanti e costose. Noi abbiamo delle ditte che producono tele che possono essere alte fino a 10 metri e dipingiamo a terra. Per fare questo mestiere è indispensabile sapere disegnare molto bene, io ho fatto un concorso nell'84 e sono stata la prima donna ad essere scenografo realizzatore: io ho sempre disegnato nella mia vita, quindi, avendo la padronanza del disegno, sono stata facilitata. L’ambiente era proprio misogino cioè praticato solo da uomini; una delle pochissime donne che dipingeva scenografie è stata una grandissima scenografa, Lila De Nobili, che ha fatto delle cose fantastiche, tra cui anche un’Aida che Zeffirelli ha ripreso qualche anno fa. A livello sindacale, poi, ho preso in mano il sindacato Libersind,dopo che ha espulso tre esponenti di spicco del sindacato stesso proprio perché alcuni comportamenti andavano assolutamente stigmatizzati.Il Libersind è stato un sindacato molto onesto che ha deciso di fare una sorta di pulizia interna.
L.: Lei quindi è un’interna del Sindacato? D.L.: Adesso sono nella segreteria regionale e come scenografa mi sono sempre interessata all’aspetto della salute e della sicurezza perché il nostro mestiere purtroppo è stato negli anni passati esposto all’uso di sostanze tossiche; poi le tecniche per fortuna si sono evolute: abbiamo un bravissimo personaggio di Verona che si è inventato tutti prodotti ad acqua mentre prima facevamo ampio uso di nitro, acetone eccetera, insomma era molto pesante.Nel mio interesse credo che la partecipazione del lavoratore sia un fatto di fondamentale importanza nel sindacato che hauna funzione irrinunciabile, quella della difesa dei diritti dei lavoratori, quindi ho sentito sempre come un dovere quello di esserci e di andare a discutere nel merito e siccome noi siamo un posto composto da tantissime professionalità sono contenta che almeno un rappresentante della scenografia sia stato sempre presente ai tavoli…
L.: Lei lo è stata? D.L.: Assolutamente sì, noi purtroppo abbiamo pure il problema grossissimo di essere adesso diventati da 630 a 450 lavoratori, a causa del blocco del turn-over, più il personale a tempo determinato. Stiamo sacrificando molto questi ragazzi, perché stiamo facendo una contrazione terribile dei contratti: mentre prima perlomeno si lavorava a stagione, adesso i contratti sono anche di una settimana!
L.: E a tempo indeterminato in quanti siete rimasti? D.L.: Siamo 450 persone a tempo indeterminato e 182 come sappiamo sono coro e orchestra: quelli che sono stati a rischio di licenziamento.
L.: E’ superato definitivamente questo pericolo? D.L.: Eh sì, è stata ritirata la procedura e quindi è un pericolo rientrato.
L.: Solo Muti è andato via… D.L.: Muti se n’è andato ma il suo fantasma aleggia perché ogni tanto qualcuno lo nomina…
L.: Ma rientrerà in qualche modo? Magari da esterno… D.L.: Io vorrei che comunque l'eventuale scrittura di un grande nome fosse sempre all'insegna della trasparenza assoluta e nelle possibilità realistiche dei bilanci del nostro teatro perché questi compensi enormi che vengono dati non sono più in linea con quella economia sostenibile di cui parlavo prima, quindi bisognerebbe riproporzionare un po' tutti i compensi in Italia.
L.: Le volevo chiedere di Marino, che si è dichiarato molto contento della soluzione trovata: non so se un sindaco sia così super partes cioè possa non essere coinvolto in storie simili... D.L.: Da un punto di vista istituzionale non può non essere coinvolto perché l'ente lirico ha nel sindaco il suo presidente come a Bologna il comunale di Bologna, a Firenze il maggio musicale, il presidente del teatro dell'opera di Roma è il sindaco cioè colui che presiede al consiglio d'amministrazione. La mia impressione è che il sindaco oberato dai bilanci in rosso del Comune di Roma, considerasse un grosso problema il Teatro dell'Opera. Da quando sono costantemente diminuiti i finanziamenti statali per la cultura in Italia, le Fondazioni Lirico Sinfoniche (adesso fondazioni private) sono molto di più a carico degli Enti Locali; Comuni e Regioni di provenienza . Quindi è chiaro che per Marino il Teatro dell'Opera di Roma è un grande onere di spesa .Roma purtroppo non è una città molto industriale e non è mai stata studiata una legge come c'ènegli Stati Uniti e che funziona benissimo per lo sgravio fiscale degli eventuali sponsor, cioè per attirare uno sponsor ad investire sulla cultura in America danno la possibilità di sgravarsi dalle tasse tutti soldi investiti in quella cosa.
L.: L'hanno fatto per il cinema con i Tax shelter. D.L.: l'hanno fatto con il cinema, lo fanno con i musei, non lo fanno per i teatri.
L.: Sta dicendo che in Italia non è previsto? D.L.: Beh, non è mai stata studiata una legge che aiutasse i privati a investire nei teatri. Comunque noi ci siamo trovati in una stagione di lotte molto dure: l'anno scorso è stato veramente un anno difficilissimo perché è stato funestato da tanti scioperi che comunque hanno fatto soltanto orchestra e coro, danneggiandomolto l'immagine del teatro e soprattutto danneggiando la stagione estiva dove sono saltate diverse repliche della Bohème. Il resto dei dipendenti non era d'accordo quindi lo sciopero è stato fatto da una piccola parte del teatro in particolar modo le prime parti dell'orchestra quelle che hanno determinato di far saltare lo spettacolo, mentre le maestranze invece in palcoscenico e dietro la scena non hanno scioperato.
L.: E la storia del direttore? D.L.: Allora io su questa cosa vorrei spendere una parola. Non ho apprezzato che il Maestro Riccardo Muti abbia dato forfait a metà di ottobre proprio l'ultimo giorno di vendita degli abbonamenti del teatro che erano stati principalmente acquistati per lui , per le opere che avrebbe diretto,avrei preferito molto di più che Muti avesse dato le dimissioni a luglio e non a ottobre.
L.: E non si è reso disponibile a dirigerle anche al di fuori della assunzione? D.L.: Questo io non lo so però a seguito anche alla sua "uscita di scena" è stato poi assunto il provvedimento di licenziamento di 182 tra orchestrali e coristi perché considerati “ingovernabili” ed è stata aperta una procedura di licenziamento collettivo secondo la legge 223 che prevede 70 giorni di tempo per trovare un accordo per evitare o meno il licenziamento. Quello che mi ha stupito di più è stato il silenzio incomprensibile del Maestro Mutichenon ha speso una parola per aiutare diciamo un corpo musicale che comunque gli aveva dato tante soddisfazioni. Questo mi è dispiaciuto molto. Comunque come segretaria del Libersind ovviamente mi sono messa ai tavoli a cercare di difendere i 182 lavoratori perché erano 182 famiglie a casa; in più la nostra è un’orchestra di grande prestigio e un coro comunque di alto livello e noi abbiamo sentito il dovere di andare ad accordarci, anche se questo accordo ci è costato una valanga di soldi perché sul tavolo sono rimasti circa € 250 al mese per ogni dipendente per due anni: un salasso per scongiurare il licenziamento dell’orchestra e del coro.
L.: Comunque servito perché alla fine il risultato è arrivato D.L.: Il risultato è arrivato con lacrime e sangue, e i lavoratori che hanno pagato di più sono quelli che non hanno fatto lo sciopero perché , quando lo spettacolo non va in scena, chi è legato alla produzione non viene comunque pagato, quindi avevano già perso dei soldi pur essendo andati a lavorare. L'orchestra ha adottato un percorso di particolarismi, cioè si è un po' trincerata dentro i loro problemi senza condividerli con il resto del corpus lavorativo del teatro, cosa che adesso è rientrata perché , con tutte queste vicissitudini , ha potuto toccare con mano la solidarietà dei suoi colleghi, verso i quali si è sentita grata anche per il sacrificio economico.
L.: C'è soddisfazione per l'epilogo della storia? D.L.: Guardi, non credo che si possa parlare di soddisfazione. Diciamo che noi siamo stati costretti a operare con la pistola alla tempia, comunque abbiamo preteso, io ho preteso, che sull'accordo ci fossero molti doveri anche da parte della Direzione Aziendale e cioè di fare delle scelte congrue, di aumentare la produttività, di fare l'alternanza degli spettacoli, di ricominciare a rifare molto repertorio (opere famose ndr) che è quello che poi attrae tantissimo i turisti e la massa. Noi siamo la città più visitata del mondo e non apriamo mai il sipario tutti giorni. Comunque il teatro dell'opera di Roma ha 2000 posti circa quindi l'incasso di botteghino contribuisce al bilancio; infine abbiamo chiesto che i sindacati possano controllare i conti attraverso delle Commissioni trasparenza perché questa legge Bray che è già in vigore…
L.: È già operante questa legge? D.L.: Sì, questa legge Bray ci ha dato 25 milioni di euro ma noi avevamo 28 milioni di debiti con i fornitori e questi soldi vanno utilizzati esclusivamente per rimettere a posto il debito residuo e non per la contabilità corrente: per la contabilità corrente si usano i soldi del FUS, fondo unico dello spettacolo, quelli previsti annualmente dal Comune, dalla Regione,che sono i nostri finanziatori.
L.: E c'è un segnale di ripresa nei conti? D.L.: Assolutamente sì perché comunque piano piano il teatro sta prendendo questi soldi e sta pagando tutte le forniture, tutti debiti pregressi e si sta rimettendo in pareggio di bilancio
L.: E sta ricominciando a fare spettacolo? D.L.: Assolutamente si
L.: I conti di bilancio hanno preso un trend di ripresa? D.L.: Beh c'è una grossa contrazione dei contratti a tempo determinato quindi purtroppo sono anche lì i lavoratori a pagare nel senso che noi avevamo per legge una pianta organica di 630 persone approvata dal mistero. Già nella gestione precedenteavevamo rinunciato a oltre 120 persone, non c'è stato più il turnover perché la legge 100 non ha più previsto le assunzioni a tempo indeterminato, pertanto siamo rimasti in tutto in 460, quindi siamo già sotto organico di tante unità; è vero che durante la gestione di Catello de Martino siamo passati dai 230 spettacoli l'anno che faceva il Sovrintendente Ernani che è stato con noi dieci anni, a circa 90 quindi abbiamo praticamente più che dimezzato la produttività; adesso stiamo risalendo perché siamo arrivati credo a 115 spettacoli.
L.: Ce la farete ad avere dei nomi? D.L.: Penso di sì. Il problema è quello che i teatri devono avere da questo momento in poi un'economia sostenibile perché il trend è quello di co-produrre i grandi spettacoli con altri teatri. Se dobbiamo fare produzioni in casa dobbiamo avvalerci di tutte le tecniche meno costose senza però rinunciare alla qualità e dobbiamo fare spettacoli leggeri che ci permettano di alternare due opere alla settimana come succedeva per i cartelloni degli anni ’50, ’60, ‘70
L: Spettacoli leggeri in che senso? D.L.: Per leggeri intendo con scenografie facilmente movibili in palcoscenico per far posto all'altro spettacolo, quindi soprattutto dipinte e leggere.
L.: All'estero conoscono solo la Scala o anche il Teatro dell'Opera di Roma? D.L.: Sicuramente all'estero conoscono molto di più la Scala di Milano perché la scala di Milano è il teatro di Verdi.
L.: Ma Roma rispetto alla Scala esiste perché è nella città di Roma o perché ha un suo valore di teatro? D.L.: Beh, il nostro teatro ha raggiunto anche grandissimi livelli ma è stato ingiustamente ignorato.
L.: Questo dipende dagli artisti che hanno diretto? D.L.: Noi abbiamo avuto anche molte carenze organizzative in passato perché abbiamo fatto degli spettacoli meravigliosi ma non eravamo attrezzati e nessuno ha pensato di fare dei film o comunque dei video. Noi facemmo tanti anni fa, all'epoca di Cresci, un'edizione dei Pagliacci di Zeffirelli che era più bella di quella della Scala di Milano e non abbiamo avuto la stessa risonanza nella stampa internazionale.
L.: Artisti top italiani come Roberto Bolle? D.L.: Viene tutti gli anni a Caracalla! Sono tre anni che Roberto Bolle fa uno spettacolo bellissimo portando artisti da tutto il mondo, perché lui ha studiato uno spettacolo in cui ha dato ospitalità a coreografie come quelle moderne di Martha Graham, e dei più grandi ballerini del mondo. Quindi Roberto Bolle sta facendo un lavoro ottimo nel senso che porta con sé altri nomi.
L.: Gli abbonamenti sono andati bene? D.L.: Assolutamente sì perché comunque l'amore che hanno gli italiani nei confronti dell'opera lirica è immutato.
L.: Il balletto nei confronti dell'opera in che proporzione attira? D.L.: Guardi, per il balletto noi abbiamo fatto rappresentazioni bellissime perché il balletto non è un'arte minore. Abbiamo fatto decine di repliche di un Lago dei Cigni straordinario, di una Bella Addormentata nel Bosco, bellissimo, abbiamo fatto tante edizione di Cenerentola, di Schiaccianoci, abbiamo fatto l'Uccello di Fuoco, noi facciamo i grandi classici del Bolshoi; il problema è che non abbiamo dato anche nel cartellone dell'anno scorso sufficiente spazio al balletto mettendo in cartellone solo 3/4 titoli, perché abbiamo un corpo di ballo decimato e non c'è più assunzione a tempo indeterminato, i fissi si contano veramente sulle mani e tutti gli altri sono ragazzi a contratti a tempo determinato che pure fanno le parti di Étoile ovvero abbiamo primi ballerini che non sono neanche assunti a tempo indeterminato e non diamo abbastanza spazio al balletto, che è una forma d'arte che attira tantissimo pubblico e rimane sempre uno spettacolo gradevole: la bellezza dei cartelloni degli anni cinquanta e sessanta era proprio quella. Noi abbiamo un patrimonio operistico infinito, quindi se avessimo l'intelligenza di sfruttare bene quello che abbiamo nei magazzini, parlo di allestimenti scenografici non di cast, abbiamo tanti magazzini nei quali sono conservati, per esempio ai Cerchi abbiamo un magazzino che contiene circa 85.000 costumi autentici, vere opere d'arte, che sono un patrimonio infinito per la scena. Le scene ovviamente vanno conservate bene quindi se noi avessimo un grosso programma pieno di opere di repertorio e di balletti, potremmo portare avanti una grande attività di spettacolo alternando almeno due spettacoli alla settimana e collaborando anche con le agenzie di viaggio e turistiche che fanno incoming.
L.: E questo per ora non si è fatto? D.L.: No, finora non c'è stata un'organizzazione di questo tipo. Solo adesso stiamo cominciando ad avere un ufficio promozione per il pubblico.
L.: Queste cose, altrove, sicuramente le fanno da tempo, vero? D.L.: Assolutamente sì, perché noi abbiamo tantissimi turisti che comunque vengono qui al Teatro dell'Opera a chiedere questa settimana che opere ci sono, che balletti ci sono, quindi il teatro può essere riempito perché non possiamo consentire per esempio che la Traviata venga fatta dalla Chiesa protestante che sta a cento metri più giù, la Traviata la dobbiamo fare noi, la deve fare il Teatro dell'Opera di Roma, deve fare Verdi Puccini Donizetti Rossini che sono autori assolutamente irrinunciabili.
L.: Il programma di quest’anno cosa prevede? D.L.: Il programma per quest'anno è abbastanza limitato, infatti in quest'accordo abbiamo avuto rassicurazioni che sarebbe stato arricchito.
L.: Questo vuol dire che dalla parte del Comune non c'è interesse? D.L.: C'è un'opinione corrente secondo me assolutamente impropria che pensa che la cultura comporti finanziamenti a fondo perduto, invece se cominciassimo a cambiare un attimo questo punto di vista, in Italia noi potremmo vivere di cultura perché siamo coloro che detengono il 95% del patrimonio archeologico del mondo. Abbiamo l'opera lirica che è una cosa assolutamente italiana, l’opera ottocentesca amatissima da tutto il resto del mondo che è stata inventata musicalmente scenicamente costumisticamente dagli italiani, quindi noi siamo i maestri .
L.: Questi luoghi comuni possibile che non riusciamo a superarli? D.L.: Alla sottoscritta è stato risposto da tantissime gestioni - non parlo di quella corrente - che bisognava lasciare che ognuno potesse progettare spettacoli pesanti tutti costruiti perché questo è il trend di adesso. Io vi dico che fare la produzione a blocchi come si fa nei teatri oggi è assolutamente antieconomico e mi spiego. Se noi facciamo un Rienzi di Wagner come quello che abbiamo fatto l'anno scorso oppure un Attila di Verdi benissimo, ma noi abbiamo fatto un'opera costruita che pesava 36 tonnellate tra ferro e legno e ci volevano5 bilici per trasportarla, difficilissima da immagazzinare, difficilissima da montare, che ha tenuto bloccato per due mesi il teatro: impossibile fare altro dentro perché il teatro era completamente ingombro e solo per fare sei repliche. Quando parlo di economia sostenibile parlo di trovare un modo di produrre gli spettacoli che sia sostenibile economicamente. Non parlo né turco né arabo.
L.: Tutte le grandi metropoli come Londra e New York fanno uno spettacolo che ripetono per anni. D.L.: Tutti lo fanno. Se noi per esempio facciamo una produzione del genere io dico: per carità facciamola ma facciamola in coproduzione con altri sei teatri, trovando una dimensione che vada bene per tutti e sei, senza immagazzinarla: la facciamo viaggiare finché non ripaga se stessa; quello che produciamo in casa lo facciamo più leggero con progetti di tela dipinta…
L.: Ma accordi con la Fenice, per esempio, col Massimo di Palermo, non ce li ha il Teatro dell'Opera? D.L.: Pare che questi teatri non si riescano mai a mettere d'accordo perché c'è anche una grande competitività: questa è la frammentazione italiana.
L.: l'Italia può andare avanti così? D.L.: Così l'Italia non va da nessuna parte. Dovremmo far girare gli spettacoli perché la scenografia è una cosa effimera, ha una durata relativa e se uno la tiene immagazzinata molto bene ti può durare dieci anni ma la cosa più bella, com’era il Carro di Tespi, è fare una produzione e farla girare su tutto il territorio nazionale in modo che tutti, sia Palermo nel Massimo, come Napoli, Parma, Torino, Venezia possano beneficiarne.
L.: Possiamo dire a questo punto che manca sì una gestione teatrale a livello nazionale ma specialmente l'amore per il teatro, e che il teatro non lo può fare qualcuno che vende delle cipolle al mercato? D.L.: Assolutamente sì, noi siamo un coacervo - e questo ci terrei proprio che venisse sottolineato - di altissime professionalità artigiane dentro il teatro.
L.: Ultima domanda sui rapporti col CdA. D.L.: Questo sovrintendente noi lo abbiamo comunque sostenuto con Libersind fin dall'inizio anche perché la precedente gestione , che piaccia o non piaccia, ha lasciato un debito enorme, si parla di 36 milioni di buco di bilancio, 28 mln con i fornitori, quindi ci ha lasciato in braghe di tela con un rischio reale di messa in liquidazione coatta dell’Ente. E’ stata disegnata il 31/5/2014 la legge cosiddetta Bray, dell’ex Ministro della Cultura; questa legge per la prima volta in Italia mette a disposizione dei fondi per rientrare dei debiti però pretende la stesura di un nuovo integrativo a sostituzione del vecchio, perché per le nostre buste paga parliamo di circa il 35% dello stipendio in linea con un pareggio di bilancio che deve essere assolutamente raggiunto entro due anni e quindi noi abbiamo una scadenza importante che è quella della fine del 2016, per cui se non riusciamo a raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2016 la legge prevede non il licenziamento ma la liquidazione coatta dell’Ente, quindi tutti a casa e non abbiamo neanche lo strumento della cassa integrazione, come teatro.
L.: Ce la farete? D.L.: Allora noi ci siamo tirati su le maniche e abbiamo già rinunciato a 250 euro al mese di stipendio, rinunciando al premio di produzione e alla indennità di Caracalla, la vituperata indennità per gli spettacoli all'aperto, per un mese, quindi tutto il mese di giugno. Però voglio spiegare di più rispetto alla vituperata indennità di Caracalla, perché l'orchestra la sera prende l’umidità ed è un fatto ma noi come scenografi lavoriamo sotto il sole cocente di 40° a Roma per tutti i mesi di luglio e agosto, a dipingere le scene, perché dopo la distruzione del vecchio impianto di Caracalla il palcoscenico adesso è collocato lontano dalle mura sotto il sole e bisogna dipingere, montare le scene in loco ed è veramente un’impresa faticosa, molto pesante e anche pericolosa per il caldo. Noi la nostra parte l'abbiamo fatta nel contratto integrativo: aumentiamo ancora di più la produttività, diamo straordinari a recupero non pagati, quindi stiamo facendo un sacrificio economico enorme per salvare il nostro teatro, starà alla responsabilità di Fuortes, al quale noi abbiamo comunque affidato il nostro destino e dato fiducia, di portarci al pareggio di bilancio alla fine del 2016.
L.: Quindi quanto conta questo rapporto col CdA perché voi possiate rispettare tutti questi programmi? D.L.: Prima di tutto il Cda adesso è stato eliminato, la legge prevede che ci sia un nuovo organismo chiamato consiglio di indirizzo, di cui hanno appena nominato i nuovi componenti; il quale a sua volta nominera' tutte le cariche più importanti del teatro: ovvero Direttore Artistico, Direttore dell'Ufficio Stampa, Direttore del Ballo, Direttore degli Allestimenti Scenici che nel nostro caso sara' ricoperto da un nostro interno. Noi come sindacato e come lavoratori abbiamo dato tutti i consigli possibili e immaginabili e abbiamo chiesto all'azienda di darci la possibilità di reistituire la conferenza permanente che è un organismo composto da rappresentanti sindacali e conferisce appunto con l'azienda rispetto ai programmi futuri. Noi ce l'abbiamo messa tutta.
L.: Quindi Denise Lupi è fiduciosa? D.L.: Diciamo che stringo i denti; non sono ottimista al 100% però cerco di essere molto positiva, soprattutto pensando ai ragazzi che verranno dopo di me. E, a proposito della bellezza delle scene dipinte,consiglio a tutti di andare a vedere la "Tosca" che stiamo allestendo adesso che è interamente dipinta dai nostri Laboratori sui bozzetti originali di Hohenstein che ne curò la prima messa in scena,dove si potrà vedere la magia di grandi spazi virtuali ottenuti con una bella pittura.La dimostrazione che si può risparmiare senza rinunciare alla qualità.
Il fondale del II atto della Tosca, tutto dipinto a mano