Da qualche giorno al Foro di Traiano è a disposizione dei
passanti un’ottima iniziativa: hanno montato su cavalletti una striscia di tela
fotografica su cui sono riprodotti in grandezza naturale tutti i duecento metri
della spirale scolpita che sale intorno alla Colonna Traiana, dalla base fino
alla cima.
Un video di marmo di duemila anni fa che documenta le guerre
daciche vinte dall’esercito romano guidato da Traiano. Il quale riportò a casa,
oltre alla gloria, un bottino di parecchie tonnellate di oro e argento con cui
si tolse la soddisfazione di farsi confe-zionare, a spese dei Daci sconfitti, il
più lussuoso di tutti i fori imperiali.
E’ una descrizione splendi-damente viva e realistica di
uomini rappresentati contro sfondi stranamente privi di prospettiva e di
proporzioni reali. Ora è in bianco e nero, ma quando fu fatta era in brillante
technicolor per seguire meglio le fasi del racconto e distinguere i nemici dai
soldati romani.
Naturalmente, essendo un documento realizzato dai vincitori
per essere mostrato al popolo come testimonianza della loro stessa grandezza, i
soldati romani, giovani, sbarbati ed eleganti, e il loro imperatore fanno una
bellissima figura mentre massacrano donne, vecchi e bambini e incendiano i
villaggi dei barbari da civilizzare, raffigurati invece come selvaggi irsuti e
seminudi.
E c’è un’immagine che ritorna prepotente parecchie volte nel
racconto. E’ proprio quella che oggi tanto ci impressiona: la testa tagliata
del nemico.
Una delle prime inquadrature del film (naturalmente vogliamo
dire una dalle prime scene del racconto scolpito) ci mostra due soldati romani che
presentano ai loro comandanti le teste barbute e scarmigliate di due daci
(mozzate, naturalmente). Un po’ più avanti altre due teste le vediamo infilate
su pali davanti alle mura dell’accampamento. E poi, ancora i soldati offrono all’imperatore,
tenendole per i capelli, altre teste di nemici.
Il racconto di marmo, che copre un periodo di alcuni anni
all’inizio del secondo secolo d. C., continua con altri orrori, fino al gran
finale della sconfitta e del suicidio del re Decebalo. Al quale, anche se già
morto, tagliano comunque la testa e la mano destra per presentarle su un bel
vassoio d’argento a Traiano (quest’ultima scena è quasi illeggibile a causa
della corrosione del marmo, ma c’è, ed è comunque ricordata nelle cronache del
tempo).
Dunque anche nella Roma di venti secoli fa questo simpatico
rito di documentare la vittoria del più forte giustificata dall’ideologia su
misura, con l’esibizione di qualche brandello del nemico (che non sapeva di
esserlo finché non lo decideva l’aggressore) era pienamente accettato.
A proposito di civiltà romana, noi siamo ammirati della grandiosa
perfezione architettonica di un edificio come il Colosseo, ma dobbiamo ricordare
che quello era il luogo dove tutta la popolazione dell’urbe (come in tante altre
città in cui esisteva un anfiteatro) si radunava per veder “ammazzare”. Animali
da altri animali, animali da uomini, uomini da animali, uomini da altri uomini.
Il programma della festa era spesso uguale: tutti insieme
appassionatamente, per assistere allo spettacolo della morte violenta.
Proprio mentre poeti come Virgilio e Ovidio, grandi avvocati
come Cicerone, architetti come Apollodoro scrivevano poemi immortali,
compilavano leggi valide ancor oggi, e costruivano il Pantheon.