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VIOLARE IL SEGRETO DELLA CONFESSIONE. CUI PRODEST....

di Domitilla Baldoni

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In un momento storico  in cui il  “Credo” cristiano è sotto attacco,  ed i diritti dei cristiani calpestati con atti barbari, come ci riportano le cronache internazionali anche in questi giorni, riesce difficile comprendere il significato della modalità di inchiesta scelta da un quotidiano nazionale che ha portato una giornalista a fingersi penitente, accedere così al sacramento della confessione ed  e a renderne  pubblico il contenuto.  La storia, seppur non originale,  mi ha colpita come cattolica e come  giornalista. Il direttore del giornale in questione è intervenuto dichiarando che i giornalisti d’inchiesta violano quasi sempre, se necessario,  il codice deontologico.  Considerato che la deontologia  non è un optional,  ma un elemento fondamentale della nostra professione, quello che non riesco a ravvisare è quale sia la notizia di pubblico interesse nell’inchiesta del giornale in questione, e soprattutto  quale sia il rispetto avuto nei confronti di un Sacramento come la confessione, intimo e riservato.  Non è solo un problema deontologico, ma etico che coinvolge la sfera umana, dove sono state violate regole fissate anche nella legge e nel codice sulla privacy che prevede che i dati siano raccolti in maniera corretta, senza ingannare.  Mi sono ritrovata nella parole del Cardinal Caffarra che ha provato sconcerto per l’accaduto, ma soprattutto di sentire l’animo ferito da un profondo dolore. L’Ucsi, unione cattolica della stampa italiana è intervenuta senza mezzi termini in quella che ha definito una vera speculazione e, nella nota diffusa ha evidenziato  che, “piegare a logiche di piccolo cabotaggio un’istituzione sacra che appartiene alla dimensione personale di ognuno di noi, alla coscienza più profonda dell’essere umano, rappresenta, al di là del diritto canonico e della deontologia professionale dei giornalisti, un’innegabile offesa alla sensibilità di tutti i credenti,  ma anche al buon senso. Fare giornalismo mancando di rispetto verso il prossimo non è certamente un servizio alla qualità dell’informazione. Fermo restando che non spetta a me dare giudizi, desidero avviare una riflessione su un argomento, il Credo religioso. Ancora una volta è sotto attacco con inaudita violenza, e non mi riferisco soltanto alle minacce del fondamentalismo islamico, ma a quello che accade ormai ogni giorno a quelli che sono i principi del nostro credo, alle nostre tradizioni, troppo spesso alla mercé di un multiculturalismo in nome del quale  dobbiamo rinunciare una volta al presepe, un’altra volta alla recita di natale o alla benedizione pasquale per tutelare altri credo, altre tradizioni, altre culture. In un mondo come quello che  ormai viviamo, dobbiamo necessariamente convivere con culture diverse dalla nostra, rispettandone  la diversità; altro discorso è alienare e rinunciare alle nostre tradizioni.  Sempre tornando all’inchiesta in questione, se il giornalista deve rispettare il segreto professionale del quale deve rispondere soltanto davanti al giudice, mi chiedo perché il segreto professionale sia  più importante del segreto della confessione. Cui prodest? 


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