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Risorse per la riduzione delle imposte

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Il mondo politico, in armonia con la pubblica opinione, riconosce che l’incidenza fiscale in Italia è troppo alta in assoluto e quindi non solo in riferimento ai servizi scadenti che con essa il sistema riesce ad erogare. Lo è in termini oggettivi, cioè, e non in relazione a fatti o circostanze. Eppure, nonostante ciò, i vari governi, indipendentemente dal colore politico, non riescono a ridurre la pressione fiscale e giustificano il loro fallimento con la  mancanza di risorse finanziarie e con l’esistenza invece di un consistente debito pubblico. Debito che, tra parentesi,  fin dagli anni ’70 va aumentando per colpa di tutta una classe politica protesa a comprarsi, a tutti i costi, compreso il ricorso al debito pubblico,  il consenso elettorale.
A ben vedere, non scarseggiano solo le risorse finanziarie ma anche e soprattutto le idee. O almeno così pare. Diversamente, si dovrebbe pensare che i correttivi fiscali efficaci e possibili ed a costo “zero”, che pure esistono, siano noti però non vengano attuati, non già per ignoranza, ma per evitarne gli effetti collaterali costituiti dal fatto che, insieme alla riduzione della pressione fiscale, riducono drasticamente i  privilegi consolidati, ovvero la corruzione ed il malaffare.
Basterebbe che a livello di macroaree (Europa, USA ecc.)  venisse eliminata la circolazione della moneta cartacea e si adottasse, al suo posto,  unicamente quella elettronica.
La tracciabilità delle transazioni sarebbe del 100%, e con essa si otterrebbe l’eliminazione drastica dell’evasione fiscale, l’alleggerimento della burocrazia ed il quasi azzeramento d’ogni malaffare.
Limitare, anche di poco, la tracciabilità, come invece si è tentato di fare, non produce nessuno degli effetti desiderati, e rende ancor più difficile e complicata la vita delle persone oneste, mentre grandi evasori e malavitosi continuano tranquillamente a svolgere indisturbati le loro lucrose attività, attrezzandosi al rispetto meramente formale dei limiti posti alle transazioni in denaro, potendo, a tal fine,  contare su un esercito intero di prestanome, fiancheggiatori ed affiliati.
Se invece la tracciabilità fosse del 100% e ad essa si accompagnasse anche il divieto di pagamento differito delle operazione di borsa, non c’è chi non veda come diventerebbe facile eliminare l’evasione, il malaffare ed anche le speculazioni finanziarie che di tempo in tempo fanno piangere i risparmiatori onesti ed ingrassano quelli spregiudicati.
Fino a qualche tempo fa la soluzione prospettata, dell’eliminazione della carta moneta,  sembrava utopistica, perché impossibile da realizzare. Ma oggigiorno, coi progressi dell’informatica, è diventato non solo possibile, ma addirittura facile da realizzare. E se, per farlo bene, occorre del tempo, si può prospettare un periodo transitorio (ad esempio tre, quattro o massimo cinque anni) durante il quale la cartamoneta verrebbe limitata, come già avviene, a transazioni di un certo  importo e le dichiarazioni fiscali dei contribuenti verrebbero rese con un sistema duale: 1) nel rispetto della normativa vigente; 2) col solo materiale  pagamento delle imposte dovute calcolate forfettariamente sulla base di quelle pagate in media negli ultimi anni e maggiorate di anno in anno di una certa percentuale (es. 5%-10%).
Verosimilmente, durante tale periodo transitorio, il primo sistema verrebbe scelto dai contribuenti più virtuosi, mentre il secondo sarebbe preferito da quelli che lo sono di meno. Questa seconda categoria, ingloberà quasi certamente l’intero universo dei grandi evasori che finalmente comincerebbero a pagare veramente qualcosa in più di prima e non - come avviene ora - quasi nulla seppure scovati, grazie ad un sistema di contenzioso fiscale pieno di norme draconiane che risultano feroci nei confronti dei piccoli contribuenti (perciò talvolta vittime addirittura di “suicidi fiscali”) ma di  impossibile applicazione nei confronti dei grandi evasori.
La pubblicazione dei risultati dei dati della lotta all’evasione che le Autorità ad essa preposte fanno di anno in anno smetterebbero di essere, come attualmente sono, un’elencazione sterile di numeri tanto eclatanti, quanto  teorici. I recuperi fiscali sbandierati sono infatti notoriamente di difficile, (se non impossibile) esazione. Mentre col sistema transitorio prospettato essi riporterebbero quasi  un unico dato: quello del gettito aggiuntivo a carico dei soli evasori fiscali, pari alla percentuale d’incremento prescelto.
Poiché siamo ampiamente coscienti di non essere geni da Nobel ma solo semplici professionisti, ricchi soltanto dell'esperienza professionale maturata, di generazione in generazione, in circa un secolo d’attività dedicata all’assistenza e consulenza fiscale e del lavoro, ci meraviglia che i semplici e noti provvedimenti non siano stati già adottati, malgrado il loro costo sia vicino allo zero assoluto, e si basino su fatti semplici e noti a tutti gli esperti. Ci torna perciò il dubbio avanzato prima, circa la reale volontà di combattere davvero l’evasione fiscale, insieme alla corruzione ed al malaffare e questo dubbio produce in noi una certa preoccupazione.
Preoccupazione fortunatamente mitigata da  un concetto espresso da Gandi. Per parafrasi, potremmo dire che il progresso è inarrestabile ed il bene finisce sempre per prevalere. Può sembrare che in un certo momento della storia, e in un certo luogo, possa prevalere il male. Che bande sanguinarie vincano feroci battaglie. Ma la guerra finale sarà sempre vinta dal progresso e dal bene. Esso  è come un fiume che, per quanti ostacoli si cerchi di frapporre tra le sue acque e quelle del mare, finisce sempre per arrivare là dov’è destino che arrivi.
Alla luce di questo insegnamento, ci va di concludere con la speranza che il fiume “del progresso economico informatico” riesca a giungere al mare “del benessere collettivo”, presto e bene, nell’interesse di tutti, persino dei suoi più fieri oppositori.

Studio Oliviero - Napoli


Aquila Capital: partnership con ECPI per finanza sostenibile
Nuove opportunità di investimenti nell'economia reale

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Aquila Capital, uno dei maggiori gestori patrimoniali indipendenti in Europa, ha annunciato oggi di aver siglato una partnership strategica con ECPI, gruppo italiano leader nei settori degli indici sostenibili e tematici.

La partnership permetterà alle due aziende di unire le loro competenze e offrire agli investitori una serie di soluzioni di investimento sostenibili, che in prima istanza si rivolgono agli investimenti reali.


(Paolo Tolla - Presidente di ECPI GROUP)

L'obiettivo è quello di rimettere al centro il rispetto dell'uomo e dell'ambiente, utilizzando le opportunità scaturite dalla Finanza Sostenibile.
I Macro Trend Globali che impattano sulla vita dell’uomo, sono alla base della selezione degli investimenti reali oggetto della partnership e si costituiscono come vettori di creazione di ritorno finanziario decorrelato dai mercati finanziari tradizionali. 

Aquila Capital ed ECPI propongono un'idea di Finanza Sostenibile che punta su progetti con impatti sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale. L'accordo tra i due gruppi è un chiaro segnale di come anche gli investimenti reali (acqua, energie rinnovabili, agricoltura, ecc.) debbano essere selezionati con una forte attenzione a criteri sociali e di governance (ESG) e possono consentire un impatto positivo sui rendimenti finanziari nel lungo termine . 

Commenhip, ROMAN ROSSLENBROICH, AD di Aquila Capital ha dichiarato: "Siamo entusiasti di lavorare con ECPI, gruppo leader nel suo settore. La proposta di Aquila Capital nella gestione degli investimenti, è ideale per soddisfare la crescente domanda di investimenti in beni reali di sostenibilità”

PAOLO TOLLA, Presidente di ECPI Group, ha dichiarato: “E’ fondamentale che la comunità finanziaria riconosca l’importanza dei temi ambientali, sociali, e di governance nell’ambito delle proprie scelte di investimento, non solo per il valore economico ad essi connesso, ma anche per il loro significato morale”.





L’Iva compie 40 anni: con l’ultimo aumento le entrate sono diminuite di 3,5
miliardi.

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Bortolussi: “No all’aumento dell’Iva. I consumi pro capite sono
tornati ai livelli del 1998
”. In Italia crescita Iva più elevata tra tutti
i principali Paesi dell’euro.
 
E’ stata introdotta nel nostro ordinamento fiscale 40 anni fa: in questo
periodo di tempo l’aliquota ordinaria è variata ben 8 volte raggiungendo il
valore massimo del 21%, quello attualmente in vigore. Stiamo parlando dell’Iva  che tra un mese, molto probabilmente, subirà un ulteriore incremento di un altro  punto percentuale. L’ultimo ritocco è avvenuto nel 2011: nonostante l’aliquota ordinaria sia  salita dal 20 al 21%, il gettito Iva, tra la metà di settembre del 2011 ed il
dicembre del 2012, è diminuito di 3,5 miliardi di euro. Certo, la situazione  economica generale ha condizionato moltissimo questo esito, tuttavia anche  l’incremento dell’aliquota ha sicuramente contribuito a penalizzare le entrate.  A renderlo noto è la CGIA di Mestre. Il segretario,
Giuseppe Bortolussi, afferma: 
“
Questo risultato ci deve servire da monito. Dall’inizio della crisi alla  fine del 2012 il Pil nazionale è diminuito di 7 punti percentuali e la spesa delle famiglie di 5. Questa caduta di 5 punti corrisponde, in termini assoluti,
ad una diminuzione media della spesa pari a circa 3.700 euro a famiglia. Se non scongiuriamo l’aumento dell’Iva previsto tra un mese corriamo il pericolo di penalizzare ulteriormente la domanda peggiorando la situazione economica delle famiglie e quella delle
piccole imprese e dei lavoratori
autonomi
che vivono quasi esclusivamente di consumi interni. La drammaticità della situazione
dei nostri consumi è stata evidenziata anche dalla Banca d’Italia. Nella  Relazione annuale presentata venerdì scorso, l’Istituto di via Nazionale segnala che in termini pro capite la spesa è tornata ai valori del 1998: ovvero quella  di 14 anni fa
”. 
L’approfondimento della CGIA di Mestre è proseguito analizzando l’andamento  tenuto in questi 40 anni dall’aliquota ordinaria dell’Iva nei principali Paesi  che attualmente costituiscono l’area dell’euro. Ebbene, dal 1973 al gennaio di  quest’anno, l’incremento più importante si è registrato proprio in Italia. Se  nel 1973 l’aliquota era al 12% ora si attesta al 21%, con un aumento di ben 9  punti. Seguono la Germania, con una variazione di + 8 punti (era all’11%, adesso  si attesta al 19%), l’Olanda, con un aumento di 5 punti (16% nel 1973, 21% nel  2013), l’Austria e il Belgio, con degli aumenti registrati nel periodo preso in  esame rispettivamente del +4 e del +3. La Francia è l’unico Paese preso in  considerazione da questa analisi che ha visto diminuire il peso dell’aliquota di  questa imposta. Se nel 1973 era al 20%, ora si attesta al 19,6% (-0,4).
  “Se è vero che in questi 40 anni – conclude Bortolussi –
abbiamo  registrato l’incremento d’aliquota più significativo, è altresì vero che nel  1973 quella applicata in Italia era, ad esclusione della Germania, la più
contenuta. Tuttavia, se l’aumento previsto dal prossimo mese di luglio non verrà scongiurato, i consumatori italiani si troveranno a subire l’
aliquota Iva ordinaria più elevata tra tutti i principali paesi dell’area
dell’euro
”.



Un fallimento su tre causato dai ritardi nei pagamenti

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Secondo una stima della CGIA di Mestre, è verosimile ritenere che nel 2012 un fallimento su tre sia stato causato dai ritardi nei agamenti. Delle 12.463 imprese italiane che hanno chiuso per fallimento, per poco più di 3.800 (pari al 31% del totale) la causa principale è da imputare all’impossibilità di incassare – sia da committenti pubblici, sia da committenti privati - le proprie spettanze in tempi ragionevoli. La CGIA precisa che tale incidenza è stata definita dopo aver appreso da Intrum Justitia che la percentuale di aziende che nell’UE sono fallite acausa dei ritardati pagamenti è pari al 25% del totale. Tenendo conto che in Italia la situazione è ben più grave che nel resto d’Europa, è molto probabile che la quota di chiusure dovute all’impossibilità di incassare in tempi ragionevoli le fatture emesse si attesti attorno al 30% del totale. “E’ evidente che per invertire questa situazione bisogna innanzitutto sbloccare gli oltre 70 miliardi di euro che le aziende private attendono dalla Pubblica amministrazione – commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre –. In secondo luogo ,bisogna rispettare le disposizioni
previste dal decreto che ha recepito la Direttiva europea contro il ritardo nei pagamenti, entrato in vigore lo scorso 1° gennaio. La mancanza di liquidità che attanaglia le imprese sta facendo crescere il numero degli ‘sfiduciati’, ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso, nonostante i grossi problemi che si sono accumulati in questi ultimi anni, di non ricorrere all’aiuto di una banca. E’ un segnale preoccupante che rischia di indurre molte aziende a rivolgersi a forme illegali di accesso al credito, con il pericolo che ciò dia luogo ad un aumento dell’usura e del numero di infiltrazioni malavitose nel nostro sistema economico”.


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