La Mediazione Civile con il freno tirato ...
di Giuseppe Mazzella
La mediazione era obbligatoria prima della sentenza della Corte Costituzionale in materia di: condominio; diritti reali; divisioni; successioni ereditarie; patti di famiglia; locazione; comodato; affitto di aziende e altro...
Dalla pronuncia del 24 ottobre 2012 della Corte Costituzionale sull’illegittimità dell’obbligatorietà della mediazione civile (per eccesso di delega legislativa del Dlgs 4 marzo 2010 n. 28), al momento fatta conoscere solo con un irrituale comunicato stampa, appaiono vani i tentativi di ridare vigore alla procedura alternativa per risolvere i conflitti (ADR), introdotta in Italia su direttiva comunitaria del 21 maggio 2000 n. 52. Molti sanno, infatti, che dal 20 marzo del 2011 è possibile adire la mediazione civile per risolvere, con una procedura snella e senza particolari formalità, questioni attinenti i diritti disponibili, tra i quali quelli condominiali, di successione e di divisioni di beni, risarcimenti da incidenti stradali e nautici, danni da cure mediche sbagliate. Il nuovo istituto, introdotto in sordina e senza un’adeguata e necessaria campagna di informazione e di promozione, aveva cominciato a dare i primi positivi risultati. Con questo stop, anche mediatico, invece, si corre il rischio di bloccare un procedimento virtuoso che avrebbe potuto sveltire non solo i tempi della giustizia (il procedimento può durare al massimo quattro mesi), ma incidere sui costi che i cittadini devono affrontare per tutelare i propri diritti.
La nuova procedura di risoluzione alternativa dei conflitti, faceva intravedere una svolta positiva per la giustizia in Italia, se è vero che solo dal 2002 al 2008 il ministero della Giustizia è stato penalizzato al pagamento di ben 81 milioni di rimborsi per l’eccessiva lunghezza dei processi. Il sistema giudiziario italiano, infatti, si posizionava al 156° posto nella graduatoria mondiale (dati del 2008) e al 33° nella zona Ocse. Una situazione insostenibile per la “Patria del diritto”, che sta avendo un effetto deprimente sulla vita civile, con ricadute pesanti su quella economica.
Stiamo assistendo da mesi a una “guerra sulle barricate”: da una parte molti avvocati che temono vedersi sfuggire delle opportunità professionali, dall’altra gli Organismi di Mediazione e dei mediatori che, avendo investito in capitali e in formazione, perseguono la “nuova via”, brandeggiando la direttiva comunitaria e i Dlgs applicativi. In mezzo il cittadino sballottato e in preda ad una crisi di sfiducia sempre più marcata.
Quello dell’obbligatorietà della mediazione può essere però considerato anche un falso problema. Appare, infatti, che si stia strumentalizzando la questione obbligatorietà, per mettere in sordina gli altri aspetti più significativi della riforma legislativa, e che rischiano di affossare la vera rivoluzione rappresentata dalla mediazione civile. E’ importante sottolineare ancora una volta, invece, che il procedimento di mediazione è uno strumento semplice, al servizio del cittadino, poco oneroso e rapido. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione, infatti, sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Inoltre il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, imposta che è dovuta solo per la parte eccedente. Aspetti non secondari di una riforma che purtroppo stenta a decollare, uno strumento efficace e straordinariamente duttile, in grado di far superare la situazione di stallo della giustizia in cui l’Italia vive da troppi anni.
La mediazione era obbligatoria prima della sentenza della Corte Costituzionale in materia di: condominio; diritti reali; divisioni; successioni ereditarie; patti di famiglia; locazione; comodato; affitto di aziende e altro...
Dalla pronuncia del 24 ottobre 2012 della Corte Costituzionale sull’illegittimità dell’obbligatorietà della mediazione civile (per eccesso di delega legislativa del Dlgs 4 marzo 2010 n. 28), al momento fatta conoscere solo con un irrituale comunicato stampa, appaiono vani i tentativi di ridare vigore alla procedura alternativa per risolvere i conflitti (ADR), introdotta in Italia su direttiva comunitaria del 21 maggio 2000 n. 52. Molti sanno, infatti, che dal 20 marzo del 2011 è possibile adire la mediazione civile per risolvere, con una procedura snella e senza particolari formalità, questioni attinenti i diritti disponibili, tra i quali quelli condominiali, di successione e di divisioni di beni, risarcimenti da incidenti stradali e nautici, danni da cure mediche sbagliate. Il nuovo istituto, introdotto in sordina e senza un’adeguata e necessaria campagna di informazione e di promozione, aveva cominciato a dare i primi positivi risultati. Con questo stop, anche mediatico, invece, si corre il rischio di bloccare un procedimento virtuoso che avrebbe potuto sveltire non solo i tempi della giustizia (il procedimento può durare al massimo quattro mesi), ma incidere sui costi che i cittadini devono affrontare per tutelare i propri diritti.
La nuova procedura di risoluzione alternativa dei conflitti, faceva intravedere una svolta positiva per la giustizia in Italia, se è vero che solo dal 2002 al 2008 il ministero della Giustizia è stato penalizzato al pagamento di ben 81 milioni di rimborsi per l’eccessiva lunghezza dei processi. Il sistema giudiziario italiano, infatti, si posizionava al 156° posto nella graduatoria mondiale (dati del 2008) e al 33° nella zona Ocse. Una situazione insostenibile per la “Patria del diritto”, che sta avendo un effetto deprimente sulla vita civile, con ricadute pesanti su quella economica.
Stiamo assistendo da mesi a una “guerra sulle barricate”: da una parte molti avvocati che temono vedersi sfuggire delle opportunità professionali, dall’altra gli Organismi di Mediazione e dei mediatori che, avendo investito in capitali e in formazione, perseguono la “nuova via”, brandeggiando la direttiva comunitaria e i Dlgs applicativi. In mezzo il cittadino sballottato e in preda ad una crisi di sfiducia sempre più marcata.
Quello dell’obbligatorietà della mediazione può essere però considerato anche un falso problema. Appare, infatti, che si stia strumentalizzando la questione obbligatorietà, per mettere in sordina gli altri aspetti più significativi della riforma legislativa, e che rischiano di affossare la vera rivoluzione rappresentata dalla mediazione civile. E’ importante sottolineare ancora una volta, invece, che il procedimento di mediazione è uno strumento semplice, al servizio del cittadino, poco oneroso e rapido. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione, infatti, sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Inoltre il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, imposta che è dovuta solo per la parte eccedente. Aspetti non secondari di una riforma che purtroppo stenta a decollare, uno strumento efficace e straordinariamente duttile, in grado di far superare la situazione di stallo della giustizia in cui l’Italia vive da troppi anni.
Bollette: attenti ai consumi presunti
Avv. Massimiliano Tangorra
Negli ultimi anni, forse anche a causa della concorrenza sempre più serrata, capita frequentemente di sentir parlare di episodi di condotta commerciale scorretta posti in essere da grandi gruppi operanti, il più delle volte, nel mercato dell'energia elettrica e del gas.
Senza voler criminalizzare l'intera categoria, ci proponiamo di dare alcuni suggerimenti per consentire ai nostri lettori di prestare maggiore attenzione ai propri consumi. Si parte anzitutto da una sconfortante osservazione: le fatture dell'energia elettrica e del gas sono spesso e volentieri di difficile lettura. Ciò non toglie che si possa facilmente controllare se il consumo indicato nella vostra fattura sia stimato o reale. Quando il consumo indicato nel corso del rapporto è reale, il che dovrebbe rappresentare la normalità, non si pongono particolari problemi. Al contrario, quando nel lungo periodo il consumo indicato nelle fatture è stimato, è possibile che il fornitore nel tempo invii una fattura a conguaglio. Detta ultima ipotesi, che dovrebbe costituire l'eccezione, è invece ormai divenuta la regola. Capita infatti che il Fornitore usi fatturare per lunghi periodi solo consumi presunti, spesso inferiori a quelli reali e, ad un certo punto, anche dopo cinque o sei anni, i malcapitati utenti si trovino a ricevere fatture per consumi a conguaglio da far impallidire anche una S.p.A. Questo tipo di condotta, sia chiaro, va ad esclusivo vantaggio del vostro fornitore! Basti pensare che la sola percezione di un consumo irrisorio, (spesso infatti il consumo presunto o stimato è inferiore a quello reale) induce l'utente a non adottare una condotta parsimoniosa, ma anzi, al contrario lo induce allo spreco ed in generale ad essere poco attento. Ma non è tutto! Questo tipo di condotta fa anche desistere l'utente dal valutare offerte di altri competitori presenti sul mercato, che magari consentirebbero, per il lungo periodo, di godere di un risparmio concreto. Senza togliere che oggi, chi si trova a corrispondere consumi a conguaglio di anni precedenti, deve corrispondere anche il maggior costo dovuto all’incremento dell'iva! Si verifica spesso anche l'ipotesi contraria, ossia che il consumo presunto o stimato sia superiore a quello reale. In questa circostanza l'utente si trova ad anticipare somme di danaro non dovute, ed anche magari a corrispondere iva ed accise per fasce di consumo che non sono le proprie. In tal caso, se è vero che l'eccedenza del costo del consumo pagato viene recuperata, lo stesso non vale per l'iva e le imposte regionali. Sul punto è recentemente intervenuta anche l'Antitrust, comminando ad uno dei maggiori fornitori nazionali una sanzione di € 90.000,00, che sono ben poca cosa se rapportati al "vantaggio" derivato dall'adozione di una simile pratica commerciale su una base di milioni di utenti. Senza togliere, tra le altre, che quando l'utente è un'azienda o un libero professionista, ricevere fatture di consumo a conguaglio significa anche dover rimettere mano alla contabilità degli anni passati, con fastidi e costi che nessuno rimborsa. Tutto ciò accade nonostante l'Autorità dell'Energia Elettrica e del Gas abbia deliberato - ormai da tempo - che le Imprese fornitrici di energia elettrica debbano provvedere almeno una volta all'anno ad una lettura del misuratore. Né, a tal fine, è d'aiuto la possibilità comunicare la lettura, la c.d. autolettura, in quanto spesso le numerazioni dedicate sono sempre occupate ed anche quando viene comunicata la lettura del contatore, stranamente, il fornitore persevera con la fatturazione della lettura presunta. L'utente, dunque, come può difendersi? Senz'altro, posso consigliare di eseguire una verifica molto semplice, ossia di confrontare il consumo degli anni precedenti e verificare se sia o meno compatibile con quello indicato nella fattura a conguaglio. Questa verifica sarà possibile solo ove non siano mutate nel tempo le proprie abitudini di consumo. Quando, al contrario, questo tipo di controllo non dovesse essere realizzabile, senz'altro occorrerà rivolgersi ad un legale il quale, valutato il parere di un tecnico esperto del settore, sarà in grado di darvi le indicazioni più opportune. In questa sede, intanto, è bene precisare che gli utenti potranno beneficiare di una rateizzazione, diritto che deve essere espressamente menzionato della fattura a conguaglio. Altresì, sarà possibile chiedere una verifica del misuratore di energia, a fronte della quale, tuttavia, è bene evidenziare che il Fornitore, troppo spesso, fornisce risposte stereotipate con le quali comunica che il contatore, sottoposto a verifica, rientra nello standard prestabilito. Quando le richieste dell'utente vengono disattese e/o le risposte del fornitore sono evasive, rimane sempre la possibilità di rivolgersi ad un Giudice. Il ricorso per accertamento tecnico preventivo, in questi casi, consente un approccio sicuro e veloce (circa 4 mesi) al problema. Il Tribunale, infatti, nomina un tecnico il quale procede in contraddittorio con il fornitore ad una attenta verifica, tanto dei misuratori che della capacità di consumo dell'utente. La relazione del Tecnico incaricato dal Giudice, dunque, porrà fine alla diatriba determinando l'entità effettiva del consumo tenuto dall'utente. [email protected] |
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